La Corte di Cassazione ha detto chiaramente che Totò Riina ha diritto ad una morte dignitosa. Una enunciazione di principio che il tribunale della libertà dovrà tenere presente ma che non significa ‘liberatelo’. La notizia è di ieri e subito è esplosa la polemica non solo sui social dove sono nati perfino gruppi per schierarsi contro la scarcerazione, ma anche nella così detta società civile.

Una mobilitazione forte e indignata quella che si è vista da subito. Ad esempio è tornato a prendere vigore il gruppo facebook che era nato per contestare la presentazione in preparazione a Palermo del libro del figlio di Totò Riina. Quel gruppo, oggi, chiede che non si liberi il carnefice di Falcone e Borsellino, il sanguinario capomafia della stagione delle stragi.

Fuori dai social dichiarazioni sono state rilasciate dai familiari delle vittime riuniti in associazioni anche con parole forti circa il ‘tradimento’ che lo Stato commetterebbe nei confronti delle vittime liberandone l’assassino.

Ci sono poi poliziotti che si chiedono perchè concedere una morte dignitosa quando la stessa cosa non è stata concessa dalla mafia ai colleghi di scorta o che indagavano su Cosa Nostra. Insomma una indignazione popolare ampia e diffusa. E perfino qualcuno ricorda che a Provenzano non fu mai concesso questo beneficio e morì in prigione e si chiede quale sia la differenza con Riina.

Ma accanto a chi si indigna c’è anche chi, invece, sostiene la ‘pietas’ in senso cristiano e considera ‘civile’ la scelta di permettere a Riina di morire nel suo letto. Una decisione, sia ben chiaro, che ancora non è stata presa, anche se le indicazioni della Suprema Corte sembrano andare in questa direzione ma solo in linea di tutela del principio perchè se la corte d’appello sarà in grado di motivare adeguatamente il rifiuto del differimento della pena Riina resterà comunque in carcere.

La rabbia che si vede sui social e non soltanto è tanta ed ha sapore di vendetta più che di giustizia. Allora la domanda che ci si pone è: qual è la differenza fra noi e loro? E di contro, qual è il confine fra la giustizia e la vendetta?

Diciamolo chiaramente: la scarcerazione per Totò Riina non ci sembra una opzione praticabile neanche in applicazione di quella ‘pietas’ cristiana invocata da alcuni. Impressiona, però, la sete di vendetta che si legge in tanti commenti, che aleggia nella maggior parte delle dichiarazioni degli indignati.

Il carcere il Italia ha uno scopo preciso stabilito dalle leggi che regolamentano la convivenza civile. Uno scopo tradito da anni ma quello è: riabilitare. Non vi è dubbio che non si può parlare di riabilitazione per chi ha ordinato centinaia di omicidi e cinque stragi, per chi ha sfidato la società per piegarla alle sue logiche.

Nel caso di Riina come di altri boss il carcere, e questo dice il 41 bis ovvero il provvedimento sul carcere duro, ha lo scopo di renderlo socialmente inoffensivo. Non si tratta di una vendetta perché la vendetta ci metterebbe alla stessa stregua dei criminali, ci porrebbe all’internno del loro codice d’onore che onore non è.

E’ questa, dunque, la circostanza su cui interrogarsi: Riina è ancora socialmente pericoloso? Scarcerarlo comporterebbe un rischio per la società. Probabilmente la risposta è sì. Nonostante i suoi 86 anni e la malattia sono recenti le minacce pronunciate durante conversazioni intercettate in carcere.

Ma la sua scarcerazione sarebbe pericolosa anche perchè offrirebbe un segnale incomprensibile alla maggior parte della società civile, un segnale inquietante ai parenti delle vittime, un segnale di speranza a chi delinque fino all’estrema ratio.

Riina ha diritto ad una morte dignitosa, ma questo non deve fornire l’occasione per il corteo di saluto al boss che rischierebbe di realizzarsi fuori dal carcere, non deve dare nuova linfa all’organizzazione, non deve fornire l’opportunità di trasmettere un testamento criminale più di quanto non sia già riuscito a fare. Dignitosa sì ma con l’opportuno grado di separazione dal resto della società. Ci fa paura, però, lasciatecelo dire, la rabbia cieca, la voglia di vendetta che si legge sui social. Atteggiamenti che ricordano troppo proprio quelli mafiosi.

 

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