“Noi giovani nel nostro piccolo possiamo cambiare il mondo”. Un amore incondizionato per il calcio, un futuro davanti a sé e l’orgoglio nel cuore di aver conseguito la laurea triennale in Scienze del Turismo presso l’Università degli Studi di Palermo: è la storia di Yacoub Said, venuto dal Camerun dieci anni fa.
Finito sui giornali per uno spiacevole episodio avvenuto tre anni fa, in cui il titolare di un bar lo ha cacciato dal locale perché “di colore”, adesso il ventitreenne ha realizzato uno dei suoi sogni più grandi. Nonostante gli alti e bassi e le avversità, non ha mai rinunciato alla meta, ma soprattutto alla bellezza di vivere. Continuerà gli studi con la magistrale in Economia e Amministrazione aziendale.

Da piccolo alla classica domanda del “Cosa vuoi fare da grande”, cosa rispondevi? E corrisponde con quello che vuoi fare adesso?

“No, non corrisponde, c’è sempre un piano b. Da bambino ho sempre sognato di giocare a pallone, sport che ho praticato fino all’età di 19 anni, poi ho abbandonato. Mi sono messo a studiare dopo essermi diplomato all’accoglienza turistica. Quando ho visto che il calcio è un mondo difficile, mi sono rivolto all’ambito turistico, perché è collegato alle lingue che parlo. Io adoro viaggiare e incontrare nuove persone. Ho pensato: perché non farlo?”

Che lingue parli?
“Francese, inglese, italiano, arabo, spagnolo, olandese, e tre lingue africane”.

Per quanto riguarda il tuo percorso da attivista, come hai cominciato e come hai proseguito?
“Ho visto le ingiustizie, sia a livello di frontiere, sia a livello di gioventù. Questo mi ha spinto ad attivarmi sia a livello nazionale sia di frontiere italiane. Nel calcio c’era sempre l’ignorante che non chiamo razzista di turno che fischiava e che ti insultava perché diverso. Questo mi ha spinto a combattere contro tutto questo”.

Hai collaborato con qualche Ong?
“Sì, con Amnesty International e altre. Adesso lavoro con Medici senza frontiere. Questo mi ha permesso di viaggiare e di poter combattere nel mio piccolo. Non possiamo cambiare il mondo ma possiamo farlo nel nostro piccolo”.

Un viaggio che ti è rimasto impresso?
“Sono molti come quelli in Africa, Asia, Sud America, ogni viaggio mi arricchiva tanto. Ogni anno prendo un mese del mio tempo e parto per fare volontariato. In particolare, un anno sono andato in Belgio a collaborare in un centro per persone che hanno perso la capacità motoria. Mi ha colpito tantissimo il modo di vedere le cose. Credo che noi abbiamo tutto ma non guardiamo quello che abbiamo, lo semplifichiamo. Per quelle persone ci sono tanti gradi di difficoltà motoria.
Mi è rimasto impresso che anche quella persona che non parla, o non riesce a muoversi, ti sorride. Lì ho capito la bellezza di vivere. Non bisogna essere cattivo o invidioso. Puoi condividere un sorriso o un abbraccio, anche se per ora non si può. Mi hanno colpito la solidarietà tra le persone, il modo di vivere della gente e come condivide il poco che ha”.

Ieri è stata la giornata contro la discriminazione razziale. C’è un progetto in corso, “Don’t touch” che ha l’intento di aprire degli sportelli antiviolenza ad Agrigento, a Palermo e a Trapani. Se tu fossi dall’altra parte a tendere una mano ad un ragazzino che ti esprime un suo disagio, in base alle tue esperienze, che cosa gli o le diresti?
“Per prima cosa devo ascoltare lui e le sue esigenze. È come una seduta dallo psicologo. Non devo guardarlo con pietà. Al minore straniero direi quali sono le sue possibilità, il percorso che potrebbe fare e chiederei quali sono i suoi desideri.
Da qui lo orienterei consigliandogli di andare a scuola. Affronterei eventuali problemi economici o familiari per poi piano piano condurlo verso la consapevolezza sui propri diritti e doveri. Sarà poi lui a scegliere se accettare o meno il consiglio”.

In America è famosissima la poetessa Amanda Gorman. Cos’hai provato quando hai sentita la sua poesia (The Hill We Climb)? Cosa ne pensi?
“L’ho sentita tante volte. Mi ha lasciato un bel ricordo. Io non parto dal fatto che la ragazza sia nera, ma che sia giovane. Ha la nostra età e mette tutti sullo stesso piano, che tu sia bianco, nero o cinese. La poesia ha messo in luce tutte le cose negative che sono successe prima, sperando in un futuro migliore”.

Pensi che un giorno riusciremo a scalare questa collina e vedere da lontano tutte le brutture che ci sono state?
“Parlo del contesto italiano che conosco perfettamente. Qui vivo da dieci anni. Possiamo superare tutto assieme, ma a farlo dobbiamo essere noi giovani. Io non incolpo i nostri genitori che non hanno avuto la possibilità di incontrare una persona che viene da un altro posto con una cultura diversa.
Siamo noi giovani che possiamo cambiare il punto di vista della persona ignorante. Il razzismo esiste ma è ignoranza per la maggior parte delle volte. Perché chi non conosce l’altro, lo addita come diverso.

Adesso c’è un’apertura maggiore all’altro, ma è fondamentale il confronto, cioè comunicare, frequentare quella persona e imparare la sua cultura. Solo attraverso la conoscenza si può cambiare la mentalità. Oggi se parliamo dell’Italia, in ambito di cittadinanza e Ius soli, oggi la cittadinanza non la daranno mai. Anche se sei nato in Italia e hai i genitori stranieri, devi aspettare i 18 anni. In questo modo non ti danno l’occasione di integrarti, sei sempre discriminato. Senza la cittadinanza non puoi fare un concorso pubblico. Senza un pezzo di carta non ho lo stesso diritto che hai tu italiano.
Dieci anni fa non potevo camminare con un ragazzo bianco perché mi guardavano male o non potevo tenere una ragazza bianca per mano perché veniva vista come una cosa inconcepibile. Siamo andati avanti, ma il passo però è lento”.