Le testimonianze raccolte da due operatori sociali sul fenomeno forniscono un contributo per sviluppare le soluzioni utili al problema

Palermo e la Sicilia rientrano, purtroppo, tra le città bersaglio di una vera e propria emergenza sociale che va sotto il nome di crack. L’incidenza del problema sulle masse dei giovani crea il bisogno di uno studio delle cause, dell’approfondimento sulla marginalità sociale, e rende necessaria una sintesi in tempi brevi.

La professoressa Clelia Bartoli, in un’intervista rilasciata a OrizzontiScuola, mette a fuoco alcuni dei concetti chiave che possono servire per comprendere meglio il drammatico fenomeno. Il paradigma messo in evidenza parte da una premessa specifica: “Tutti abbiamo delle dipendenze, siamo vulnerabili alle dipendenze, o in qualche modo siamo concausa di un mondo che alimenta le dipendenze”. Non essendoci una causa unica e una matrice univoca, il ragionamento degli esperti procede per livelli di analisi che partono dal generale e arrivano al particolare: “Il problema è un’intera società che spinge a diventare dipendenti, il mondo dei consumi è fatto per indurre dipendenza”.

Tutte le forme di dipendenza scaturiscono dunque da un bisogno di compensazione: si vive, in sostanza, dentro una bolla come il caso dei ludopatici, abbandonati al vizio del gioco. Non sempre il tessuto sociale è reattivo rispetto alle soluzioni. Quando un giovane comincia a “perdersi” per strada, recuperarlo si fa subito complicato come spiega la stessa docente: “Se l’allenamento alle dipendenze avviene in un’età molto giovane, tutta la personalità e il cervello si struttura come una personalità dipendente, quindi l’adulto cercherà la dipendenza nell’alcol, nello shopping compulsivo, nelle droghe, nell’isolamento o nei social”.

È importante, sottolinea l’esperta, escludere i due eccessi. “Non dobbiamo stigmatizzare chi ha una dipendenza, perché probabilmente è la persona più fragile ma anche più sensibile, quindi forse ci sta anche dicendo qualche cosa attraverso il suo modo di essere”, ha spiegato la professoressa Bartoli, evidenziando altresì un approccio al problema che possa risultare eccessivamente assolutorio.

Un altro contributo fornito è quello del professore di Storia e Filosofia, Nino Rocca, che, intervenendo ai microfoni di un giornale online siciliano, ha dichiarato: “I ragazzi con cui parlo hanno rotto i legami con la famiglia, quindi è molto difficile recuperarli, perché spesso vengono adottati dagli altri ragazzi che vivono nella loro stessa condizione. Per loro il punto centrale è la costante ricerca di soldi per comprare una dose: tutto questo provoca una degenerazione della propria esistenza”.

L’approccio sociologico e di territorio torna utile dunque come elemento di raccordo. Quindi, per il professore Rocca, “bisogna evitare la degenerazione del fenomeno dalle sue forme iniziali”, rilevando il ruolo essenziale delle strutture di assistenza pubblica chiamate a prevenire, oltre che a intervenire poi sugli effetti.

Articolo scritto da Marta Adile, Francesco Armaleo, Anna Compagno, Marica Valdesi

 

 

Luogo: Liceo Meli

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