La discriminazione sessuale nello sport, ambito tradizionalmente dominato dagli uomini, si riferisce alla disuguaglianza di trattamento, opportunità o rispetto basata sul sesso o sul genere degli atleti. Questo fenomeno può manifestarsi in diversi modi:
–    Disparità di opportunità: le donne hanno storicamente avuto meno accesso a risorse, supporto e visibilità rispetto agli uomini, nonostante abbiano le stesse capacità atletiche. In molte discipline, le opportunità di partecipazione e di carriera per le donne sono ancora inferiori rispetto agli uomini.
 –    Differenze salariali: le atlete, in molte discipline, guadagnano molto meno dei loro colleghi maschi, anche a parità di livello di competizione e prestazioni.
–    Rappresentazione nei media: le donne nello sport tendono a essere meno rappresentate nei media rispetto agli uomini e quando sono rappresentate, spesso lo sono in contesti che sottolineano l’aspetto fisico piuttosto che le loro capacità atletiche.
–    Pregiudizi di genere: gli stereotipi di genere possono influire sul modo in cui gli atleti vengono trattati. Le donne sono spesso viste come meno “forti” o meno adatte a sport considerati più fisici, mentre gli uomini possono essere sottoposti a pressioni per conformarsi a ideali di mascolinità.
–    Discriminazione verso atleti transgender: le persone che non si identificano con i tradizionali ruoli di genere, come gli atleti transgender, possono affrontare ostacoli significativi. Le questioni legate alla loro partecipazione nelle categorie maschili o femminili sono spesso oggetto di dibattito e,  in molti casi, possono essere vittime di esclusione o discriminazione.
–    Mancanza di supporto per le donne atlete: spesso le donne devono affrontare sfide logistiche e familiari aggiuntive, come la maternità, che non sono supportate in modo adeguato dalle strutture sportive.
Un esempio emblematico è quello di Caster Semenya, mezzofondista sudafricana due volte campionessa olimpica negli 800 metri. Nel 2009, dopo aver vinto i Mondiali a Berlino, fu sottoposta ad alcuni test a causa di sospetti sul suo aspetto fisico e sulle sue prestazioni. I risultati indicarono livelli di testosterone naturalmente elevati, condizione nota come iperandrogenismo.
La World athletics, la Federazione internazionale dell’atletica leggera introdusse regolamenti che obbligavano le atlete con livelli di testosterone superiori a una certa soglia a sottoporsi a trattamenti per ridurli, al fine di competere in eventi femminili da 400 metri a un miglio. Semenya ha contestato queste regole, sostenendo che sono discriminatorie e violano i suoi diritti umani. Nonostante le battaglie legali, nel 2019 il tribunale arbitrale dello sport ha confermato la validità dei regolamenti della World athletics. Di conseguenza, Semenya è stata costretta a scegliere tra assumere farmaci per abbassare i suoi livelli di testosterone o rinunciare a competere nelle sue discipline principali.

“La battaglia dei sessi” nel tennis

Ne abbiamo parlato con Germano Di Mauro, coordinatore della Federazione italiana tennis del settore under 16 femminile.

Secondo lei, nel mondo dello sport, si può parlare di disparità di opportunità tra uomini e donne?

Mi piace poter iniziare questa intervista facendovi conoscere ‘La Battaglia dei sessi’, uno storico match che ha ispirato l’omonimo film del 2017 in cui la popolare tennista californiana Billie Jean King, fautrice della parità di trattamento salariale per le donne, sfida il cinquantenne Bobby Riggs, ex numero uno al mondo, che vuole dimostrare la superiorità maschile sul campo. La battaglia dei sessi si conclude con la vittoria della tennista americana che apre la strada all’emancipazione femminile nel mondo del tennis, al riconoscimento delle atlete donne e alla graduale equiparazione dei premi nei tornei del Grande Slam. Oggi, nel calcio, nel basket e in altre competizioni professionistiche, le atlete continuano a lottare per ottenere gli stessi riconoscimenti economici e mediatici dei colleghi uomini. Il cambiamento che è avvenuto nel tennis può aiutare a credere che la parità di genere nello sport possa diventare una realtà concreta.

Ritiene che le donne abbiano nello sport una minore copertura mediatica e che ancora oggi l’attenzione su un’atleta donna sia focalizzata sull’aspetto fisico, anziché sulle capacità atletiche?
Sicuramente l’aspetto esteriore di un’atleta conta. Al di fuori dell’ambito sportivo si possono utilizzare la propria immagine e le proprie doti estetiche  in ambito pubblicitario o per fini commerciali. Però, poi, nel tennis come in altri sport, contano le prestazioni e il bel gioco.  Ritengo dunque che le tenniste siano in grado di  competere e attirare lo stesso interesse del pubblico rispetto agli uomini.

Gli incontri di tennis femminili ricevono la stessa attenzione mediatica di quelli maschili?
Ad alti livelli, sì. Nei tornei di livello più basso è difficile riempire le tribune. Non la vedrei come una discriminazione, però, ma come una scelta.

Le tenniste hanno le stesse opportunità di sponsorizzazione rispetto ai loro colleghi maschi? Quali fattori influenzano questa dinamica?
Nel tennis, in generale, non c’è un divario nei compensi. Le tenniste di alto livello hanno le stesse opportunità nello sfruttamento dell’immagine. Anche se è vero che allo stato attuale non possiamo paragonare la tennista Sabalenka a Sinner che è diventato un fenomeno mediatico, ma anche per i valori che incarna e che ha saputo trasmettere.

Il tennis femminile nei tornei del Grande Slam prevede partite al meglio dei tre set, mentre i tennisti giocano al meglio dei cinque. Pensa che questa regola sia in qualche modo discriminatoria? Perché non viene cambiata?
Questo è stato un motivo di polemica per tanti anni. Ci sono state delle discriminazioni in passato. I motivi, però, sono evidenti. Le caratteristiche fisiche di un uomo sono differenti da quelle di una donna in termini di resistenza, di resilienza, di forza.  Solo intorno ai tredici anni la donna produce più testosterone di un uomo e sembra avere più forza. Ma sappiamo che, fisiologicamente, le caratteristiche fisiche di uomo e donna sono differenti e così le prestazioni. Per cui è giusto tutelare il benessere fisico delle atlete.

Sebbene la partecipazione femminile allo sport stia gradualmente aumentando, le donne rimangono sottorappresentate negli organi decisionali delle istituzioni sportive, sia a livello locale e nazionale, sia a livello europeo e mondiale. Cosa si potrebbe fare?
Si è fatto moto rispetto al passato. Da poco sono state introdotte le quote rosa all’interno dei comitati e delle federazioni regionali e nazionali e questo ha avvicinato le donne ai poteri decisionali. Il giorno in cui non saranno obbligatorie le quote rosa, ma le donne avranno un’uguale rappresentanza o saranno proporzionalmente superiori, si sarà raggiunto un grandissimo risultato. Le donne sanno essere attente, puntigliose e veramente programmatiche. Lo sperimento ogni giorno nel mio ambito. E per questo ho sempre preferito lavorare con le donne. Le mie atlete mi seguono in modo rigoroso. Certo bisogna essere in grado di conoscere e comprendere le caratteristiche psicologiche e comunicative delle donne.

Cosa direbbe ad una giovane atleta che vuole intraprendere la carriera sportiva
Di affidarsi alle persone giuste, in primis i propri genitori, poi di affidarsi ad un team che abbia a  cuore il benessere dell’atleta prima ancora della prestazione e del rendimento.

Andrea Di Benedetto
Federico Insinsola
Agostino Monti
Salvatore Napolitano
Mirko Terzo

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