Lo Svimez calcola che, a causa del confinamento, oggi ci sono oltre 5 impianti su 10 fermi, in Italia. Questo si traduce, nella media nazionale, nel crollo del 50% di fatturato, valore aggiunto e occupazione. Il blocco colpisce duramente, sia pure con diversa intensità, indistintamente l’industria, le costruzioni, i servizi, il commercio. Il lockdown, infatti, costa all’Italia 47 miliardi al mese (il 3,1% del Pil italiano), 37 dei quali al Nord e 10 nel Mezzogiorno, 788 euro pro capite al mese nella media italiana.

 

Il rischio di default è maggiore per le medie e grandi imprese del Mezzogiorno. I tempi incerti della quarantena e l’incertezza riguardo i tempi e le modalità delle riaperture minano le prospettive di tenuta della capacità produttiva. Nel rapporto Svimez si legge: “Il blocco improvviso e inatteso coglie impreparate le molte imprese meridionali che non hanno ancora completato il percorso di rientro dallo stato di difficoltà causato dall’ultima crisi rispetto alla grande crisi, il processo di selezione, allora dispiegatosi lungo un arco temporale ampio, oggi è anticipato all’inizio alla crisi con un’interruzione improvvisa che ha posto immediatamente al policy maker l’urgenza di intervenire a sostegno della liquidità delle imprese, di ogni dimensione”.

 

Sulla base dei dati di bilancio disponibili per un campione di imprese con fatturato superiore agli 800.000 euro, le evidenze su grado di indebitamento, redditività operativa e costo dell’indebitamento portano a stimare una probabilità di uscita dal mercato delle imprese meridionali 4 volte superiore rispetto a quelle del Centro-Nord.