Gli archeologi bollano come una bufala la teoria secondo cui i Bronzi di Riace furono trovati nelle acque di Brucoli per poi finire nel mare calabrese dove furono scovati nel 1971.  Un’ipotesi, dietro cui ci sarebbe lo zampino della cosiddetta archeomafia, un tempo chiamati tombaroli,  specializzata nel traffico di reperti antichi, rilanciata dall’inchiesta giornalistica andata in onda domenica sul Tg1 che ha raccolto alcune testimonianze e mostrato una foto, una delle prove di questa tesi.

La foto

Nell’immagine, si scorgono due persone che sorreggono una statua e sullo sfondo appare una nave cargo, la Providence, in avaria nella rada di Augusta dal 1966 al 1971: Insomma, quella foto spiegherebbe che i bronzi sarebbero stati “pescati” a Brucoli e non di Riace.

“E’ un fotomontaggio”

Per Fabio Caruso, archeologo, componente dell’Istituto di Scienze del patrimonio culturale, si tratta di un fotomontaggio, come spiega sulla sua pagina social.  “Gli esperti consultati da Rai1 non sono in grado di riconoscere come tale il brutale fotomontaggio della prima foto nella quale potremmo addirittura riconoscere il famigerato e inafferrabile terzo bronzo di Riace” sottolinea Caruso usa anche la leva del sarcasmo. “Si sa che gli “archeomafiosi” amano farsi fotografare con la refurtiva sul luogo del delitto, seminando indizi che diano conto del momento in cui si è commesso il reato”.

L’origine dei Bronzi e l’ipotesi siracusana

Il dibattito riguarda non solo il ritrovamento dei Bronzi di Riace ma anche la loro origine: ad accenderlo è stato un medico, Anselmo Madeddu, attuale presidente dell’Ordine dei medici di Siracusa, appassionato di storia, autore di studi secondo le statue sarebbero state realizzate in Sicilia, in particolare a Siracusa. Sull’argomento, ha scritto due libri, l’ultimo, dal titolo “Mistero dei Guerrieri di Riace”,  è stato presentato a Siracusa nel marzo scorso.

Il saccheggio romano e l’affondamento delle statue

Nella sua ricostruzione, le due sculture bronzee sarebbero state trafugate da Siracusa durante il saccheggio dell’esercito romano, guidato dal console  Marcello nel 212 a.C. Le statue sarebbero poi finite in mare lungo il tragitto navale per Roma, in particolare nei fondali di Brucoli, nella rada di Augusta, e questo chiuderebbe il cerchio con quel ritrovamento.

Un’idea, comunque, non nuova, emersa alla fine degli anni 80 negli studi dell’archeologo americano Ross Holloway, secondo il quale i Bronzi sarebbero stati rinvenuti in acque siciliane e poi portati in Calabria da organizzazioni criminali.

I Bronzi con la fattezze del Tiranno Gelone e dei suoi fratelli

Inoltre, dagli studi compiuti dal medico siracusano, che è stato sentito dalla giornalista del Tg1 autrice dell’inchiesta, i bronzi raffiguravano i Dinomenidi: il tiranno siracusano Gelone insieme a due dei suoi fratelli. Le statue, arrivate da Argo in sezioni anatomiche staccate, sarebbero state ricomposte a Siracusa servendosi di argille locali.

L’archeologo Caruso, “Holloway smentisce l’ipotesi siracusana”

Secondo l’archeologo dell’Istituto di Scienze del patrimonio culturale, è vero che Holloway lanciò quest’idea nel 1988 ma “in forma fortemente dubitativa”, inoltre,  “nello stesso articolo, propose di identificare gli eroi con una delle coppie di fondatori di città greche di Sicilia – Gela, Agrigento o Camarina – sconfessando di fatto l’opzione siracusana”.

“Il montaggio delle statue non è come una libreria di Ikea”

In merito alla tesi del montaggio delle statue, l’archeologo è piuttosto scettico. “L’idea – scrive Caruso – che le due statue siano partite da Argo “smontate” per essere montate nella sede finale come una libreria Ikea appare quanto meno azzardata. L’operazione di saldatura delle varie parti di una statua, insegnano gli specialisti, era una pratica straordinariamente complessa che richiedeva la partecipazione di maestranze numerose e altamente specializzate”

Ed ancora: “Alla saldatura seguivano peraltro – aggiunge Caruso – i vari lavori di levigatura, patinatura ecc. per i quali, è facile credere, erano richieste ulteriori specifiche competenze. È credibile che attività così complesse fossero svolte nei pressi di un santuario, con l’ausilio di un forno capace di sviluppare da 800° a oltre 1000°installato per l’occasione, e che al seguito delle statue in pezzi viaggiasse un piccolo esercito di artigiani specializzati, possibilmente capeggiati dal maestro”.

Un altro archeologo contro la tesi siracusana

Lo scetticismo sulla tesi siracusana l’ha manifestata un altro archeologo, Valentino Nizzo,  che condivide la ricostruzione di Caruso, e sulla sua pagina social ha rilanciato le considerazioni del suo collega. Di fatto, la Procura di Siracusa, a seguito del servizio andato in onda sulla Rai, ha aperto un fascicolo di inchiesta, un modello 45, atti non costituenti notizie di reato.