Il pm ha chiesto ai giudici della Corte di Appello di Catania la condanna a 17 anni di reclusione nei confronti di Andrea Tranchina, 22 anni, ritenuto responsabile della drammatica aggressione ai danni di un anziano di 80 anni, Pippo Scarso, prima picchiato e poi dato alle fiamme nella notte tra il primo ed il due di ottobre del 2016 nella sua abitazione, al ronco II di via Grottasanta. Il pensionato morì dopo due mesi di agonia in un reparto dell’ospedale Cannizzaro di Catania per via delle profonde ustioni riportate su gran parte del corpo. In primo grado, la Corte di Assise di Siracusa, presieduta da Tiziana Carrubba, aveva emesso una sentenza più pesante, pari a 20 di reclusione, mentre la pubblica accusa aveva richiesto 12 anni. E’ stato già condannato in Appello a 16 anni di reclusione Marco Gennaro, che, nella tesi della Procura di Siracusa, avrebbe partecipato insieme a Tranchina a quella brutale aggressione.
Secondo quanto ricostruito dalla Procura di Siracusa e dagli agenti della Squadra mobile, prima di quella terribile bravata ce ne sarebbero state altre due ma decisamente meno cruente di quella fatale. E sono state le immagini delle telecamere di sicurezza di un distributore di benzina, in via Grottasanta, a dare i primi indizi alle forze dell’ordine anche se hanno dovuto faticare parecchio per risalire all’identità degli indagati in quanto incensurati, per nulla noti alle forze dell’ordine. La svolta è arrivata nella giornata di sabato 17 dicembre, quando al palazzo della Questura di Siracusa si presentò un amico di Tranchina e Gennaro e nel corso della sua deposizione svelò quel disegno ai danni del pensionato, già bersaglio di altri ragazzini di quartiere. Per gli inquirenti, ad intrufolarsi nella casa del pensionato sarebbero stati Gennaro e Tranchina ma sarebbe stato quest’ultimo a gettare del liquido infiammabile e a dare fuoco all’anziano.
Per gli inquirenti, sulla scorta delle relazione dei periti, le ustioni sul corpo sono state poi fatali per l’anziano, deceduto al Cannizzaro di Catania. Ma su questo aspetto, la difesa di Tranchina, rappresentata dall’avvocato Giancarlo Nassi, nel corso del processo in primo grado aveva avanzato un’altra tesi, secondo cui il pensionato sarebbe morto per un batterio killer contratto durante la degenza della vittima nell’ospedale catanese.
L’avvocato Aldo Valtimora, difensore della famiglia della vittima, ha, invece, chiesto la conferma in Appello per Tranchina della condanna in primo grado. Nella memoria difensiva il legale spiega che “Tranchina si è rappresentato nella sua organizzazione mentale di cagionare ustioni ed ha accettato il rischio, contrariamente a quanto affermato nella sua dichiarazione di voler fare uno scherzo, per il sol fatto che, se fosse vera la teoria dello scherzo sfuggito di mano, nel momento in cui le fiamme divampavano, avrebbe provato a spegnerle o avrebbe aiutato la vittima, rimuovendo dal suo comportamento l’accettazione del rischio delle ustioni che invece lui sapeva di cagionare perché proprio per quel fine si era recato lì, così del resto come aveva fatto la volta precedente”.
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