Tempo di primi bilanci per gli spettacoli classici al Teatro greco di Siracusa, almeno per le due tragedie che sono andate in scena. Elettra ed Edipo a Colono di Sofocle: la prima per la regia di Roberto Andò, la seconda diretta da Robert Carsen.

Seguiranno una commedia di Aristofane, Lisistrata diretta da Serena Sinigaglia ed infine uno spettacolo moderno di danza, teatro, musica e poesia, ispirato all’Iliade da Omero per la regia di Giuliano Peparini. Per una prima valutazione dei due spettacoli, BlogSicilia ha intervistato Loredana Faraci, docente ordinario di Storia dello Spettacolo all’Abacatania, Accademia di belle arti di Catania, storica del Teatro antico sulla scena contemporanea, tra le candidate al ruolo di soprintendente della Fondazione Inda.

 

Le due tragedie sono ormai in scena da  settimane. Facciamo un primo bilancio. Elettra sembra avere un gradimento maggiore rispetto a Edipo a Colono. Qual è la sua opinione?

Non mi stupisce. Elettra è la donna assassina sì ma disperata, ossessionata da un grande dolore e che vuole continuare ad amare il padre. E questo accade solo se ucciderà la madre. E’ una storia che, purtroppo, giornalmente accompagna la nostre cronache, una vicenda che prende le viscere, che fa tremare i polsi (grazie anche alla traduzione straordinaria del prof. Giorgio Ieranò) e che trova il pubblico attento e appassionato. Quello di Elettra  è un sentimento da non condividere, certamente, ma visceralmente capace di trascinare la gente e forse anche farla schierare. Non a caso  nel prossimo Agòn, il 4 giugno alle 22, il Siracusa International Institute intende portare Elettra dinanzi ad una corte e processarla. Sicuramente, come è accaduto con altre protagoniste assassine, il pubblico si schiererà con lei e la vorrà assolvere. Scommettiamo? Chi ascolta, in questi giorni, le due interpreti femminili di grande respiro come Sonia Bergamasco, Elettra appunto, e Clitemnestra, Anna Bonaiuto, non può non commuoversi e farsi trascinare dalle emozioni. Perché Elettra è il dolore della solitudine, è la solitudine dentro la sua casa, laddove viveva felice col padre ed i fratelli. Oggi quella casa è diventata un cimitero. Come non compatirla, non soffrire con lei?

In Elettra, Sonia Bergamasco ha fatto rivivere delle interpretazioni femminili epiche come quella di Valeria Moriconi. È un paragone azzardato?

L’attore è corpo e voce. E’ un corpo che vibra e con esso anche un suono. Ogni attore ha la sua fisicità e, credo, nulla possa legare le due interpreti. Valeria Moriconi aveva una voce dal tono grave e potentemente severo, un corpo armoniosamente rotondo, come lo erano i suoi occhi, il volto ovale e la pelle abbronzata. Sonia Bergamasco ha una fisicità molto diversa. Ha la pelle bianchissima, un corpo apparentemente esile e quando entra in scena zoppica, si muove in modo nevrotico. Poi comincia a parlare ed è che si trasforma, diventa altro. Il suo corpo minuto diventa forte, la sua voce finisce col possederti. La voce di Elettra è quella degli Inferi, da cui è posseduta, il suo corpo trema ed emette vibrazioni. E poi è una donna che soffre, piegandosi su stessa fisicamente e vocalmente. La scena finale sul pianoforte, rannicchiata in posizione fetale, ci dice che lei è libera dalla madre sì ma non dai suoi demoni. Straordinaria.

Giuseppe Sartori, protagonista in Edipo a Colono, è ormai diventato un habitué del Teatro greco. Lo ha convinto la sua interpretazione?

Sartori è attore di alto livello interpretativo. Tra tutti gli interpreti scelti da Robert Carsen sicuramente il più presente sulla scena e al pubblico. In Edipo a Colono è personaggio più statico e non ha al fianco Maddalena Crippa ( ultima Giocasta in Edipo re). Qui Sartori  è il vecchio sovrano che si prepara a morire. Un testo che parla di morte, di passaggio verso la non vita chiede molto ad un attore. E poi  in una società in cui la morte spaventa come non mai, chi potrebbe trovare empatia in un personaggio che si prepara a morire? Eppure accade. Sartori è un buon interprete ed il pubblico lo applaude convinto. E credo lo meriti. Penso che al Teatro greco di  Siracusa essere un habitué, come dice lei, potrebbe però anche diventare un punto non a favore, nel tempo.

Parliamo della regia: una sfida tra Andò e Carsen. Che differenze ha notato nei due spettacoli?

Di entrambi ho ammirato le scelte scenografiche. Trovo emozionante la reggia degli orrori di Gianni Carluccio. Le portefinestre che sono il luogo verso la morte, verso quell’orrore che è diventata la reggia di Micene. Per chi ha studiato negli anni la storia delle scenografie, è stato questo un mio contributo all’ultimo convegno della Fondazione INDA sulle Macchine sceniche lo scorso dicembre, con lo scenografo Gianni Carluccio ritrova il respiro degli anni Sessanta, quando eliminate le torri e le mura cartonate, lo sguardo conquistava lo spazio aperto del luogo antico. Una reggia andata a pezzi ha scelto Roberto Andò, come la vita di chi la abita, corrispettivo dell’interiorità dell’uomo sofocleo. Roberto Andò è regista colto, intellettualmente presente nel panorama culturale. In scena lo è, ancora di più, attraverso lo studio sui suoi personaggi, gli echi della cultura occidentale e contemporanea che si trovano nel suo disegno registico. Una grande lezione. La scena di Radu Boruzescu, in Edipo a Colono di Robert Carsen, è il bosco sacro, il luogo dove si inoltrerà Edipo per trovare la morte. Riprende la scala dell’Edipo re ma qui, quest’anno, si aggiunge il senso di infinito, dell’oltre il visibile, del cielo a cui Edipo, anziano, si consegna e con cui si congiunge. Di Carsen è maestosa la capacità di dirigere le grandi masse negli ampi spazi, tipico del regista di opere liriche. Ne ammiro la capacità nell’orchestrare interi pezzi dello spettacolo, come lo studio dei personaggi e degli interpreti e come, questi, riescano ad agire nello spazio, portandosi dietro la forza del testo e il lavoro sul testo.