“Ogni anno, il 23 maggio, Palermo si stringe attorno all’Albero Falcone. E ogni anno, puntualmente, c’è chi cerca di trasformare un momento di memoria collettiva in un pretesto per polemiche di parte ideologica, facendo politica con l’antimafia. Oggi come allora”.

Lo scrive la Fondazione Falcone a due giorni dalla chiusura del 33esimo anniversario della strage, rispondendo a polemiche tanto pretestuose quanto dure a spegnersi.

“Quest’anno, l’“errore imperdonabile” che ha scatenato indignazioni costruite è stato l’anticipo di pochi minuti della lettura dei nomi delle vittime, affidata – con senso di responsabilità e profondo rispetto, come accade da sempre – a Pietro Grasso. Un gigante nella storia della lotta a Cosa Nostra, componente storico del Pool antimafia, già Procuratore nazionale antimafia e Presidente del Senato, amico vero di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e anche componente della nostra Fondazione. È stato lui stesso ad assumersi la responsabilità di quanto accaduto. Ma il Presidente non si deve scusare di nulla, perché – come abbiamo scritto pochi minuti dopo la lettura dei nomi – “la memoria non è un cronometro, ma impegno in ogni momento della nostra vita”.

Non c’era nessun politico sul palco

Sotto l’Albero, sul palco organizzato dalla Fondazione come ogni 23 maggio, non c’era alcun politico a parlare. Non una passerella, ma un presidio di memoria.
C’erano le voci di migliaia di studenti arrivati da tutta Italia, orgogliosi di essere lì per ricordare i loro eroi. Le loro mani alzate, le lacrime, gli abbracci, i cartelloni: tutto raccontava la verità di un Paese che non dimentica. L’unica verità: Giovanni Falcone è di tutti.
Non di una parte, non di un partito, non di una bandiera, ma di tutti quelli che continuano a credere nella giustizia, nella legalità, nella forza della memoria.
Perché crediamo che la memoria, se non cammina sulle gambe dei giovani di tutta Italia, sia solo retorica. Servono cultura e freschezza civile.

Giovanni Falcone è di tutti, la mafia teme più la scuola che la giustizia

Giovanni Falcone, di cui oggi tutti – anche i suoi storici nemici più velenosi – si riempiono la bocca, diceva che “la mafia teme più la scuola che la giustizia”.

Ed è proprio in questa direzione che va il nostro impegno quotidiano: abbiamo aperto al pubblico il Museo del Presente Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, un luogo vivo, pensato per le nuove generazioni, in cui la memoria diventa impegno, esperienza, conoscenza, consapevolezza.

La nostra più grande felicità – la risposta più autentica a ogni sterile polemica – è vedere, in questi giorni, centinaia di bambini, studenti, cittadini di ogni età e provenienti da diverse parti d’Italia, affollare le sale del Museo.

Con occhi curiosi, con domande vere, con gli occhi lucidi e con il desiderio di capire e di non dimenticare.

La Fondazione non fa politica, Orlando taccia

La Fondazione Falcone non ha mai avuto paura delle contestazioni, né ha mai fatto politica.

Tra le tante voci che si sono levate in questi giorni, una su tutte – straordinario simbolo di incoerenza – respingiamo con forza, sul piano morale prima ancora che politico: quella del professor Leoluca Orlando.
Perché non possiamo dimenticare che lui fu, negli anni più difficili, uno dei peggiori nemici istituzionali di Giovanni Falcone, contribuendo con parole e azioni a isolarlo e a delegittimarlo, fino a costringerlo a difendersi davanti al CSM. E non si è mai scusato.

“A lui, e solo a lui, chiediamo almeno per una volta – con rispetto ma con fermezza – un silenzio totale.
Un silenzio dignitoso.
Un silenzio dovuto.

La memoria non si difende con l’applausometro. Si difende con la coerenza, con l’impegno, con la verità. E soprattutto con la responsabilità. Anche ammettendo, come adesso, che abbiamo fatto una “papera”.