A distanza di 33 anni la Sicilia e l’Italia intera si raduna attorno al famoso albero di via Emanuele Notarbartolo 23. Sono le 17.46 e Piero Grasso, ex presidente del Senato, inizia ad elencare i nomi della strage. Un dettaglio che non passa inosservato ma che a tanti colpisce, meraviglia per il suo inusuale anticipo. Tra gli applausi dei cittadini, riecheggia il rumore dei circa 500 chilogrammi di tritolo posizionati sotto l’autostrada A29, l’esplosione e poi il sangue. Poco prima sul palco prende parola Maria Falcone: “Giovanni ha fatto venire a galla l’amore di una città che sembrava distratta” racconta.

Scoppia la polemica

In una giornata densa di emozione e memoria, accanto alle celebrazioni ufficiali per il 33° anniversario della strage di Capaci, circa 500 persone hanno partecipato a una manifestazione che ha sfilato da Piazza Verdi fino a via Leopardi, sotto lo slogan: “Non chiedeteci silenzio”. Un’iniziativa popolare e critica che ha voluto dare voce a una parte della città che si dice esclusa, non ascoltata, e che chiede un altro modo di fare memoria.

A scatenare la polemica è stato l’anticipo del minuto di silenzio previsto alle ore 17:58, orario esatto dell’attentato in cui persero la vita Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e tre agenti della scorta. Quest’anno, il suono della tromba che segna ogni anno il momento del ricordo sarebbe stato suonato con alcuni minuti d’anticipo, scatenando la reazione dura di chi stava partecipando al corteo alternativo.

Jamil El Sadi, uno degli organizzatori della manifestazione è intervenuto sulla vicenda: “è una vergogna che sia stato anticipato il momento del ricordo. È la prima volta in 33 anni. Un’offesa a questa città che è scesa in strada in questo corteo popolare, un’offesa ai giovani, alle sigle che lottano, e anche agli agenti di polizia che oggi garantiscono la nostra sicurezza e che allora hanno perso tre colleghi.”

La replica della Fondazione Falcone

Non si è fatta attendere la replica della Fondazione Falcone, che ha respinto le accuse e ha invitato a non strumentalizzare un dettaglio di tempistica: “non c’era alcuna voglia di alimentare polemiche. È vero, il silenzio del trombettista è arrivato con qualche minuto di anticipo, ma ciò che conta è essere stati uniti nel ricordo.”

La Fondazione ha sottolineato che la memoria non si misura al secondo, ma è un impegno quotidiano, che va ben oltre una cerimonia ufficiale: “per noi le 17:58 del 23 maggio scoccano ogni giorno, da 33 anni. Chi vive quelle ferite non ha bisogno di un cronometro per ricordare. La politica non c’entra: chi vuole strumentalizzare quei 7 o 8 minuti, sbaglia bersaglio.”

Il 23 maggio: rinnovare l’impegno del fratello Giovanni

Ogni anno, davanti a quell’albero diventato simbolo di resistenza civile e memoria, centinaia di persone si ritrovano per ricordare Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli agenti della scorta. E ogni anno, Maria Falcone, sorella del magistrato assassinato nella strage di Capaci, prende la parola per rinnovare l’impegno, il dolore e la speranza di una città che lotta ancora contro la mafia.

“Questo è il momento in cui tutti voi, che ci avete creduto e continuate a crederci, siete qua: ci siete perché lo sentite, perché Giovanni è rimasto per questa città il simbolo di chi più di tanti altri l’ha amata e ha cercato di liberarla dalla mafia – ha raccontato Maria Falcone – Cosa nostra voleva ucciderlo ancor prima che potesse andare avanti, ma lui è riuscito a prendere tutti quei provvedimenti per fermarla: questa città non è libera, c’è tanto lavoro da fare da parte sia di forze dell’ordine e magistratura sia di tutti noi. La mafia finirà quando la città non la vorrà: pochi giorni fa abbiamo sentito di tanti arresti, che ancora ci dicono che tanti politici ancora la vanno cercare e che ancora Palermo non è libera. Ecco perché veniamo qua ogni anno, per dire che ci siamo e che Giovanni, Francesca e tutti gli altri siano morti invano: a chi mi chiede se la morte di mio fratello è stata inutile darei due schiaffi, perché Giovanni ha fatto venire a galla l’amore di una città che sembrava distratta. Ognuno nelle nostre case continua ad amarlo come un figlio, un fratello, uno zio e un nonno: vi ringrazio tutti, perché essere qua mi dà la forza per continuare il mio lavoro”.