Una risata: è questo il suono che accompagna l’arrivo dei dottori clown, figure che trasformano il dolore in un momento di leggerezza, l’angoscia in un sorriso. La loro missione non è semplice animazione: è cura, è empatia, è un abbraccio emotivo travestito da naso rosso.
Il valore terapeutico del sorriso
La clownterapia è oggi riconosciuta come una vera e propria terapia di supporto alle cure tradizionali: i clown, attraverso il gioco e la fantasia, aiutano a trasformare grigie giornate d’ospedale in straordinari momenti di magia, stimolando il buonumore dei pazienti e persino del personale sanitario. Non si tratta di improvvisazione, ma di un intervento strutturato, capace di influire profondamente sul benessere psico-fisico.
Lo sa bene il dottor Giuseppe Barbagallo, già primario dell’UOC di Medicina interna dell’ospedale Carlo Basilotta di Nicosia, oggi uno dei tanti “clown in corsia” dell’associazione onlus Teniamoci per mano. Durante una tavola rotonda al convegno Nazionale sulla Complessità clinica e assistenziale, Barbagallo ha ribadito con forza: la risata ha effetti benefici sul piano terapeutico. Non è solo una distrazione, ma uno strumento che favorisce il dialogo, stimola l’interazione, accende l’immaginazione.
Le basi scientifiche del buonumore
Numerosi studi scientifici confermano che la risata modula positivamente il rilascio del cortisolo, un ormone chiave nella risposta allo stress. Attraverso la regolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, il buonumore contribuisce a ridurre stati infiammatori, alleviare ansia e dolore, migliorare la pressione arteriosa e rafforzare il sistema immunitario. E’ una medicina naturale, senza effetti collaterali, che agisce su corpo e mente.
Più di mille cuori in camice colorato
L’associazione conta oltre mille clown attivi in tutta Italia. A Palermo, come racconta Rosario Ciringione, in arte Zufolo, la loro presenza è costante, soprattutto nei reparti pediatrici, ma anche tra i pazienti adulti. Il loro compito è delicato: “spostare l’equilibrio”, come dice Zufolo, “da un momento di dolore a uno di leggerezza”. Perché in quella leggerezza c’è una forza che cura.
Viaggi immaginari tra le mura dell’ospedale
“Ogni sabato mattina, quando entriamo nel reparto di oncoematologia pediatrica, i bambini ci saltano in braccio”, racconta una volontaria con la voce rotta dalla commozione. “Li portiamo in spiaggia, alle giostre, a cantare a Sanremo, anche se Sanremo non c’è. Li aiutiamo a volare con la fantasia”. E’ un viaggio invisibile, ma potente, che li porta lontano, anche se non si muovono dal letto.
Radici storiche e pionieri del sorriso
I primi clown-dottori apparvero negli ospedali di New York negli anni ’80. Tra i precursori ci fu il giornalista americano Norman Cousins, che nel 1979, colpito da una malattia degenerativa, decise di curarsi con film comici e vitamina C. Contrariamente a ogni prognosi, dopo un anno si era ripreso. La vera svolta però arrivò con Michael Christensen, pioniere della clownterapia nel 1986. “Un buon clown – affermò – deve essere autenticamente presente a sé stesso e all’altro. Solo così può adattarsi a ogni situazione emotiva”.
Un gesto semplice, un impatto profondo
Essere un clown in corsia non è un ruolo da improvvisare: richiede preparazione, sensibilità, formazione, comprensione profonda dei meccanismi della risata e dei suoi effetti. Ma più di tutto, serve cuore. Perché in ogni sorriso strappato a un bambino malato, c’è un pezzo di speranza. E in ogni abbraccio dato a un clown, c’è una promessa: quella che, anche nel buio della malattia, un po’ di luce è sempre possibile.
Nel mondo della medicina, a volte, la cura più potente non si trova nei farmaci, ma in un gesto colorato, in una risata condivisa. La figura del clown, oggi più che mai, è diventata quasi indispensabile. Perché dove arriva un clown, arriva un mondo magico dove il dolore lascia spazio al gioco, alla meraviglia, alla forza di reagire. Ridere, in fondo, è un atto di resistenza. E anche di guarigione.






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