Antonio Perna
Giornalista free-lance, tessera Odg 58807, cronista dal 1986 anno in cui l'Italia per la prima volta si connette a Internet
Ho sempre pensato che la democrazia non sia un dato acquisito, ma una conquista quotidiana, fragile come il respiro della libertà, esposta alle raffiche della storia.
Ed è nei momenti più oscuri, quando la violenza sfregia il volto delle città, che la democrazia si rivela per ciò che realmente è: non un meccanismo, ma una fede civile.
Il 31 luglio a Kyiv è stato uno di quei giorni in cui la Storia bussa alla porta della coscienza europea.
Trentuno morti, tra cui bambini, ospedali distrutti, macerie raccolte a mani nude.
Il cielo sopra Kyiv, ci raccontano le cronache, era grigio di fumo e pianto. Ma in quelle stesse ore, mentre la morte faceva il suo ennesimo ingresso nei quartieri civili, il Parlamento ucraino votava una legge per restituire l’indipendenza alle agenzie anticorruzione.
Un gesto simbolico e sostanziale, compiuto mentre le sirene d’allarme ancora laceravano l’aria. Una scelta che ci interroga.
Noi, qui, nell’Europa del benessere e dell’informazione infinita, dove tutto sembra esistere senza pagarne il prezzo. Noi, che abbiamo smarrito la misura della lotta, travolti dalla noia e dal cinismo, disabituati a chiamare le cose con il loro nome: potere, verità, corruzione, responsabilità.
Gli ucraini non solo combattono una guerra sul campo. Stanno difendendo un’idea di democrazia che molti di noi hanno dimenticato.
Una democrazia che non è garantita dai processi elettorali o dalle dichiarazioni di principio, ma che vive nel sacrificio quotidiano, nell’assunzione di rischio, nella partecipazione attiva.
Una democrazia, come ha scritto il Kyiv Independent, che sa ribaltare il proprio governo quando tradisce la promessa iniziale.
Una democrazia che si indigna, che protesta, che non ha paura di dirsi imperfetta ma non per questo meno degna di essere difesa.
A salvarci saranno gli ucraini. Non con le armi — quelle, prima o poi, taceranno. Ma con il loro esempio. Con la loro capacità di tenere accesa la fiaccola della libertà anche quando tutto intorno crolla.
Un tempo, nei salotti intellettuali dell’Europa, si discuteva di “maturità democratica”, come se fosse un processo lineare, inevitabile.
Oggi scopriamo che la democrazia è una scelta. E che può essere più viva sotto le bombe che nelle nostre ovattate democrazie assopite.
Il popolo ucraino, martoriato e coraggioso, ci offre uno specchio. E nello specchio si riflette la nostra stanchezza, il nostro torpore, la nostra abitudine a una libertà che non sappiamo più difendere. Ma anche la possibilità di risvegliarci.
In fondo, non è questo che chiedeva l’Europa: un’anima, una missione, un’idea più grande di sé stessa?
E allora sì: forse ci salveranno loro. Se sapremo guardarli davvero. Se sapremo ascoltare non solo il rumore delle bombe, ma il silenzio carico di senso con cui si ricostruisce una repubblica. Una alla volta. Anche la nostra.
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