Giusi Patti Holmes

Sono Giusi Patti Holmes, giornalista, scrittrice e, soprattutto, un affollato condominio di donne, bizzarre e diversissime tra loro, che mi coabitano. Il mio motto è: "Amunì, seguitemi".

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Il mio racconto di oggi, che ha il suo momento topico nell’agosto 1946, ha per protagoniste “le Gelsominaie”. Ma chi erano queste donne e, soprattutto, perché vanno ricordate? Per scoprirlo dobbiamo fare un passo indietro, ritornare al 1930 e, precisamente, alla piana di Milazzo che si presentava come una distesa a perdita d’occhio di gelsomini. Questi fiori dal profumo inebriante venivano raccolti solo da donne, più di duemila, in quanto le loro piccole mani erano più adatte, rispetto a quelle degli uomini, a questa attività.

Ecco come le descriveva Vincenzo Consolo, in L’olivo e l’olivastro:

«Allora, nel crepuscolo mattutino, quando erba e foglie eran pregne di rugiada, schiere di donne avanzavano tra le file dei cespugli, piegate, il grembiule a sacca, a staccare i boccioli delicati. Seguivan le bambine, come spigolatrici, a cogliere qua e là le residue gemme, assonnate, rosse le mani. Ma un giorno le raccoglitrici incrociarono le braccia e fecero cadere a terra il gelsomino delicato, che il sole appassì e fece nero». 

La dura vita delle “Gelsominaie”

La loro giornata cominciava alle 2:30, in piazza XXIV Maggio, dove venivano prelevate dai caporali che, con dei furgoncini bianchi, le portavano in un capannone vicino al campo. Alle 3, ancora col buio, iniziava la raccolta e, nel primo pomeriggio, il lavoro ricominciava con la rimozione delle erbacce. 

Le Gelsominaie lavoravano in condizioni davvero difficili: chine per ore e ore, con i piedi sempre immersi nell’acqua e nel fango, la maggior parte scalze, per non essere intralciate dalle scarpe e, di conseguenza, con frequenti infezioni dovute a punture di insetti e parassiti; un fazzoletto in testa, a proteggerle dal freddo e dall’umidità,  gonne lunghe oppure pantaloni. Chi aveva figli molto piccoli, costretta a portarli con sé, li adagiava in cestini trasformati in culle, mentre i più grandi aiutavano  nella raccolta. 

Agosto 1946

Una coraggiosa gelsominaia, Grazia Saporita, definita la Bersagliera, immaginatela come una giovane Gina Lollobrigida in “Pane, amore e fantasia”, andò casa per casa a prendere le timorose colleghe di “sventura” e con un bastone, quasi brandito per farsi forza, da capopopolo quale era, le condusse a occupare il “commissariato”. A quei tempi per una donna, abituata a subire e ad obbedire sempre, agire in prima persona era davvero un’azione di inaspettata dirompenza. 

Ritornando al motivo di quell’atto, che fu condannato dai mariti e dai padri padroni, mortificati per quella presa di posizione, voglio darvi qualche numero: per produrre 1 kg di concreta da spedire erano necessari circa 330 kg di fiori, una quantità enorme, e per un chilo la paga era di sole 25 lire. Una volta raccolti, i gelsomini venivano messi nelle tasche dei grembiuli, riversati dentro le ceste, trasportati nelle distillerie della città e, poi,  spediti in Inghilterra e in Francia per la produzione di profumi. 

Lo sciopero durò 9 giorni, alcune delle gelsominaie furono arrestate, ma riuscirono nel loro intento, quello di far accettare le loro rivendicazioni.

Come migliorarono le loro condizioni lavorative?

Il prezzo dei gelsomini salì inizialmente a 50 lire al chilo, per  arrivare a 80-90 lire e, infine, nel 1975, a 1050 lire. Le lavoratrici ottennero stivali per proteggersi dall’acqua e dal fango, grembiuli contro gli insetti, cesoie per rendere meno faticosa la raccolta dei fiori e un  orario di lavoro più accettabile.

La protesta si estese a macchia d’olio

La protesta, partita da Milazzo, si diffuse prima nel messinese, coinvolgendo le donne sfruttate negli aranceti, nelle fabbriche di sarde salate e nelle cave d’argilla di Santo Stefano di Camastra e, poi,  nel 1959,  in Puglia, dove le lavoranti negli uliveti si ribelleranno, anch’esse, alle  condizioni di sfruttamento.

La crisi e la fine della coltivazione del gelsomino

La coltivazione del gelsomino entrò in crisi verso la fine degli anni sessanta sia per la concorrenza di paesi esteri, sia per la comparsa di fissatori sintetici che, nel mercato dei profumi, presero il posto dei derivati del gelsomino, sicuramente più costosi e difficili da ottenere. Nel territorio milazzese, pian piano, le aree dedicate a questa coltura diminuirono fino a scomparire e, nel 1978, le aziende chiusero per mancanza di materia prima.

Riconoscimenti alle Gelsominaie

1. Per eternare la loro storia, nel 2013,  il Comune di Milazzo gli ha intitolato una strada, “Via delle Gelsominaie. 

2. A San Filippo del Mela, sempre nel messinese,  nel 2021, un artista, Andrea Sposari, ha realizzato un murales intitolato “Gelsominaia”. 

3. Per chi volesse saperne di più, consiglio il volume “Le Gelsominaie” di Venera Tomarchio e Santi La Rosa. 

Cinema

Sarebbe bello se, come le Mondine furono protagoniste del film “Riso amaro” di Giuseppe De Santis, le  Gelsominaie lo fossero di uno. girato, la butto lì, da Peppuccio Tornatore, Luca Guadagnino, Emma Dante per far conoscere come possa essere acre, anche, il profumo del Gelsomino”.


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