Antonio Perna
Giornalista free-lance, tessera Odg 58807, cronista dal 1986 anno in cui l'Italia per la prima volta si connette a Internet
Il Presidente Donald Trump, che di revisioni sembra conoscere solo quelle del proprio ego, ha licenziato – con un post su Truth Social – la direttrice dell’Ufficio Statistico del Lavoro.
Colpa? Aver pubblicato dati “sbagliati”. Sbagliati, si capisce, non perché matematicamente errati, ma perché politicamente scomodi.
La dottoressa Erika McEntarfer, si è resa colpevole di avere contato i nuovi posti di lavoro a luglio e di averne trovati appena 73.000 (un numero che non piacerebbe neppure ai tombolari del New Jersey), e per questo è stata fulminata con un post. Una sorta di tweet da ghigliottina. Senza processo, senza appello, senza nemmeno un “grazie per il servizio”.
Ora, uno potrebbe pensare: succede nei regimi. Nei regimi si spara al messaggero, si brucia l’archivista, si arresta chi fa la somma non gradita. Ma qui siamo nella più grande democrazia del mondo. O almeno così si diceva, ai bei tempi in cui i numeri erano numeri e non slogan da campagna elettorale.
Trump non ha contestato l’aritmetica: ha contestato l’intenzione dell’aritmetica.
Ha detto – testualmente – che quei numeri erano “truccati per favorire i Democratici”. E con questa frase ha promosso ufficialmente la matematica a scienza marxista. Il prossimo passo sarà probabilmente licenziare chi gli dice che 2 + 2 fa ancora 4, se il risultato non lo porta al 51%.
Ma attenzione. Qui si potrebbe anche ridere. “Ah, il solito Trump, che personaggio!” E invece no. Perché la risata, quando arriva troppo presto, è l’anestetico della coscienza.
Lo stesso accadde con certi baffi d’oltre Reno, quando ancora i giornali europei titolavano con tono bonario: “Il barbiere di Berlino gioca con la politica”.
C’è un momento preciso, in tutte le democrazie in decadenza, in cui il potere comincia a scegliere chi può contare e cosa si può contare. Quel momento è adesso. Trump ha lanciato un messaggio chiaro: i numeri devono servire il potere, non raccontare la realtà. Il prossimo grafico sarà probabilmente disegnato direttamente a Mar-a-Lago, con i pastelli a cera.
E gli americani? Zitti. O peggio, divertiti. L’indignazione è una moneta fuori corso, nel mercato della democrazia-spettacolo. Si applaude, si commenta, si condivide. Intanto si scava, centimetro dopo centimetro, la fossa dell’indipendenza istituzionale.
La verità – che i numeri tentano ancora di dire – è che il mercato del lavoro rallenta. Ma la verità più inquietante è che non deve più dirlo nessuno.
Il vero problema non è Trump. È che ci si abitua a Trump. Come ci si abitua al rumore del frigo rotto: fastidioso, ma ormai familiare.
E quando anche la matematica deve chiedere il permesso per parlare, allora siamo già oltre l’ironia.
Siamo nel preambolo del buio.
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