La Direzione Investigativa Antimafia di Agrigento ha confiscato beni a carico di Simone Capizzi, 73enne, e del figlio Giuseppe Capizzi, 50enne, entrambi originari di Ribera (AG) ed in atto detenuti, considerati elementi di spicco di “cosa nostra” agrigentina.

I provvedimenti di confisca, emessi dalla Prima Sezione Penale del Tribunale di Agrigento, seguono le indagini economico-patrimoniali delegate alla Dia dal procuratore Bernardo Petralia dalla Procura distrettuale di Palermo.

Simone Capizzi, detto “Peppe” (detenuto dall’ottobre 1993), è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di mafia del maresciallo dei Carabinieri Giuliano Guazzelli, di cui oggi ricorre il ventiquattresimo anniversario.

La sua ascesa mafiosa è coincisa con l’uccisione del boss riberese Carmelo Colletti (avvenuta nel luglio del 1983), a fronte della quale ha ottenuto l’“affidamento della gestione mafiosa”, su ordine di Salvatore Riina e dei rappresentanti degli altri “mandamenti” della provincia di Agrigento.

Giuseppe Capizzi è stato, invece, tratto in arresto nel luglio del 2006, in esecuzione di una richiesta dalla Direzione Distrettuale Antimafia palermitana, poiché indagato, in concorso con altri, per il reato di associazione per delinquere di tipo mafioso. Per tali fatti la Corte d’Appello di Palermo lo ha condannato ad anni otto di reclusione.

La stessa Corte d’Appello lo ha successivamente condannato a dieci anni di reclusione per il reato di estorsione aggravata. In tale contesto è stato, altresì, ritenuto organico a “cosa nostra riberese” della provincia agrigentina, con un ruolo di indubbio spessore, comprovato tra l’altro dagli stretti rapporti intrattenuti con l’ex latitante Giuseppe Falsone, già rappresentate provinciale di cosa nostra.

Di rilievo, nel corso delle indagini, anche i pizzini sequestrati a Bernardo Provenzano e Antonino Giuffrè, poi divenuto collaboratore di giustizia, sul conflitto tra Giuseppe Capizzi e Giuseppe Grigoli, imprenditore trapanese nel settore alimentare, considerato prestanome del latitante Matteo Messina Denaro.

In particolare, la questione era sorta in ordine ad un debito di Capizzi nei confronti del Grigoli per forniture alimentari al punto vendita Despar di Ribera.

Per tale diatriba i capi delle province mafiose di Agrigento e Trapani avevano investito il boss Bernardo Provenzano, attraverso una copiosa corrispondenza epistolare.

Gli odierni provvedimenti di confisca, che riguardano complessivamente 10 terreni e 3 fabbricati del valore complessivo stimato in oltre 800.000 euro, traggono origine dall’esito dalle indagini svolte dalla Sezione Operativa Dia di Agrigento, da cui è emerso che, nei primi anni ’90, alcuni soggetti, formali intestatari degli immobili, avevano venduto o promesso in vendita gli stessi alla famiglia Capizzi tramite scritture private non registrate e senza formalizzare la compravendita, col fine di eludere eventuali provvedimenti ablativi.