
Davide Romano
Davide Romano è attivo nel mondo del volontariato e appassionato di studi religiosi, lavora da molti anni nell’ambito della comunicazione politica, culturale, religiosa e sindacale.
Vi è qualcosa di irresistibilmente affascinante nelle conversioni religiose dei personaggi celebri, specialmente quando a essere abbracciata è la fede cattolica. Non è solo la curiosità morbosa per le vicende altrui – quella c’è sempre, inutile negarlo – ma è l’intreccio tra il divino e l’umano, tra la vita pubblica e l’intimità dell’anima che cattura l’attenzione. Come se il fatto che un divo del cinema, un intellettuale di grido o un politico navigato s’inginocchi davanti a un crocifisso possa in qualche modo confermare o smentire le nostre personali convinzioni.
In fondo, ci piace pensare che chi ha avuto tutto – fama, denaro, successo, bellezza – abbia scoperto che quel “tutto” non bastava. E che abbia trovato nella Chiesa quella risposta che noi, comuni mortali, cerchiamo da sempre. O, per i più cinici, ci piace credere che anche quelle conversioni siano, in fin dei conti, un’altra forma di spettacolo, un modo elegante per reinventarsi quando i riflettori cominciano a spegnersi.
La verità, come sempre, sfugge alle nostre categorizzazioni. Ogni conversione è una storia a sé, un percorso intimo e personalissimo che può iniziare tra le pieghe dell’inquietudine esistenziale, nel dolore di una perdita o nell’incontro con una testimonianza autentica. Proviamo a raccontarne alcune, tenendo presente che, come ammoniva sant’Agostino – lui stesso illustre convertito – i sentieri che portano a Dio sono tanti quante sono le anime che lo cercano.
Hollywood e la croce, conversioni sotto i riflettori
Partiamo da Hollywood, quella fabbrica di sogni e illusioni che, paradossalmente, ha visto alcune delle conversioni più sincere e durature. Il caso di Gary Cooper resta emblematico. La star di “Per chi suona la campana” e “Mezzogiorno di fuoco”, sex symbol degli anni ‘30 e ‘40, abbracciò il cattolicesimo nel 1959, poco prima della sua morte per cancro. La sua conversione, documentata dalla figlia Maria Cooper Janis nel libro “Gary Cooper: Enduring Style” (PowerHouse Books, 2011), fu influenzata dall’amicizia con il regista cattolico Leo McCarey e dalla lunga riflessione sulla mortalità innescata dalla malattia. “Quello che cerco è la pace interiore”, dichiarò in un’intervista al Catholic Digest nel 1960. “E l’ho trovata solo quando ho capito che c’è qualcosa di più grande di me, una presenza che dà senso a tutto”.
Più recente e altrettanto significativa è la conversione di Nicole Kidman, cresciuta come cattolica ma allontanatasi dalla Chiesa durante il matrimonio con Tom Cruise, seguace di Scientology. Come riportato dal biografo David Thomson in “Nicole Kidman: An Unauthorized Biography” (Knopf, 2006), l’attrice australiana è tornata alla fede cattolica dopo il divorzio, trovando in essa un’ancora durante il periodo difficile della separazione. “La fede mi ha dato la forza quando tutto sembrava crollare”, ha dichiarato al Sydney Morning Herald nel 2003. Oggi Kidman frequenta regolarmente la messa con i figli e ha voluto un matrimonio cattolico con Keith Urban.
Ma la conversione hollywoodiana che ha fatto più rumore negli ultimi anni è quella di Shia LaBeouf, star di “Transformers” e artista controverso. La sua conversione, avvenuta durante la preparazione per il film “Padre Pio” (2022), è stata raccontata dallo stesso attore in un’intervista a Bishop Barron Presents nell’agosto 2022. LaBeouf, cresciuto in una famiglia ebraica non praticante, ha trovato nella fede cattolica un’àncora dopo anni di scandali, problemi con la legge e dipendenze. “Non cercavo Dio, cercavo una via d’uscita dalla vergogna”, ha confessato. “Invece ho trovato qualcosa di molto più grande”. La rivista America ha definito la sua conversione “uno dei più sorprendenti percorsi spirituali di Hollywood” (settembre 2022).
Non tutte le conversioni hollywoodiane resistono alla prova del tempo, certo. Ma è interessante notare come, in un ambiente notoriamente secolarizzato come quello dell’industria cinematografica, la Chiesa cattolica continui a esercitare un fascino particolare. Forse perché, come suggerisce il critico culturale Ross Douthat nel suo “Bad Religion” (Free Press, 2012), “il cattolicesimo offre una narrazione completa, una visione del mondo che risponde alle domande ultime che il materialismo hollywoodiano lascia inevase”.
Gli intellettuali e la fede, quando la ragione incontra il mistero
Se le conversioni delle star del cinema possono essere liquidate dai cinici come operazioni di immagine, più difficile è spiegare con la stessa facilità quelle degli intellettuali, degli scrittori, dei pensatori che hanno dedicato la vita alla ricerca della verità. Qui la Chiesa può vantare una tradizione illustre, da Agostino d’Ippona a John Henry Newman, da Gilbert Keith Chesterton a Edith Stein.
Uno dei casi più eclatanti del XX secolo è quello di Malcolm Muggeridge, giornalista britannico, direttore del satirico Punch e corrispondente di guerra, che per anni fu un critico feroce del cristianesimo. La sua conversione al cattolicesimo, avvenuta nel 1982 all’età di 79 anni insieme alla moglie Kitty, fu preceduta da un lungo percorso intellettuale e spirituale, documentato nella sua autobiografia “Chronicles of Wasted Time” (Collins, 1972). Fu l’incontro con Madre Teresa di Calcutta, su cui realizzò un documentario per la BBC nel 1969, a segnare una svolta decisiva. “Ho visto in lei qualcosa che non potevo spiegare con le categorie del mio scetticismo”, scrisse. “Una luce che veniva da altrove”. Muggeridge, che era stato un libertino e un cinico, divenne un apologeta della fede e un difensore della vita, schierandosi contro l’aborto e l’eutanasia.
Altrettanto significativa è la conversione di Alasdair MacIntyre, uno dei più importanti filosofi morali contemporanei. Nato in una famiglia protestante scozzese, MacIntyre è passato attraverso il marxismo e l’ateismo prima di approdare al cattolicesimo nel 1983. Come racconta Nicholas Wolterstorff in “Inquiring about God” (Cambridge University Press, 2010), la conversione di MacIntyre fu il risultato di un lungo confronto intellettuale con la tradizione tomista e con i limiti del liberalismo moderno. Il suo “After Virtue” (University of Notre Dame Press, 1981), scritto prima della conversione ma già orientato verso una critica della modernità, è considerato uno dei testi filosofici più influenti degli ultimi decenni. MacIntyre ha trovato nel cattolicesimo non una fuga dalla ragione, ma il suo compimento: “Solo una tradizione che riconosca la dipendenza della ragione da un contesto di virtù può salvare la razionalità stessa”, ha dichiarato in un’intervista a First Things nel 1994.
Più recente e meno nota al grande pubblico, ma non meno significativa, è la conversione dello scrittore e saggista Joseph Pearce. Ex membro del National Front britannico, movimento di estrema destra, e redattore di una rivista razzista che gli costò due condanne al carcere per incitamento all’odio razziale, Pearce ha trovato la via della conversione attraverso la letteratura cattolica, in particolare le opere di G.K. Chesterton e Hilaire Belloc. La sua trasformazione da militante neonazista a cattolico devoto è narrata nel suo memoir “Race With the Devil” (Saint Benedict Press, 2013). Oggi Pearce è un rispettato biografo e critico letterario, direttore della rivista Saint Austin Review e autore di studi su Tolkien, Shakespeare e Oscar Wilde.
Questi percorsi intellettuali verso il cattolicesimo sembrano confermare ciò che il teologo Hans Urs von Balthasar scriveva nel saggio “La verità è sinfonica” (Jaca Book, 1974): “La fede cattolica non è un rifugio per menti deboli, ma una sfida per intelletti forti che cercano una visione integrale della realtà”.
Dalla politica all’altare, conversioni che cambiano la storia
Anche il mondo della politica ha visto conversioni clamorose, che talvolta hanno modificato non solo la vita personale dei protagonisti ma anche il corso degli eventi. Il caso più celebre in Italia è quello di Alcide De Gasperi, nato nel Trentino asburgico in una famiglia cattolica ma allontanatosi dalla pratica religiosa durante gli anni universitari. La sua riscoperta della fede, narrata dal biografo Piero Craveri in “De Gasperi” (Il Mulino, 2006), avvenne gradualmente durante il fascismo, anche grazie all’influenza della moglie Francesca. La fede cattolica divenne per lui non solo un ancoraggio personale durante gli anni difficili del regime e della guerra, ma anche l’ispirazione per il suo progetto politico di ricostruzione democratica dell’Italia. “Un politico può anche essere devoto”, scrisse in una lettera alla figlia, “quando comprende che il servizio agli altri è la forma più alta di fedeltà a Dio”.
Oltreoceano, la conversione di Jeb Bush, ex governatore della Florida e candidato alle primarie repubblicane nel 2016, ha suscitato meno clamore ma non è meno significativa. Cresciuto come episcopaliano, Bush si è convertito al cattolicesimo nel 1995, influenzato dalla moglie messicana Columba. Come riportato dal Washington Post (15 giugno 2015), la sua conversione non fu un’operazione di facciata per conquistare l’elettorato ispanico, ma una scelta profonda che ha influenzato le sue posizioni su temi come l’aborto e l’immigrazione, spesso in contrasto con la linea del suo partito.
Un caso più controverso è quello di Tony Blair, che ha abbracciato formalmente il cattolicesimo solo dopo aver lasciato la carica di primo ministro britannico nel 2007. La sua conversione, preparata da anni di partecipazione alla messa insieme alla moglie cattolica Cherie, è stata vista da molti come tardiva e opportunistica, considerando le posizioni pro-choice del suo governo. Il biografo John Rentoul, in “Tony Blair: Prime Minister” (Little, Brown, 2001), sostiene che Blair avrebbe voluto convertirsi molto prima, ma fu consigliato di aspettare per non creare imbarazzi istituzionali in un paese con una forte tradizione anticattolica. Lo stesso Blair, in un’intervista alla BBC nel dicembre 2007, ha ammesso: “Ho sempre voluto farlo, ma la politica rende tutto più complicato”.
Questi esempi illustrano come la conversione religiosa, anche per chi vive sotto i riflettori della politica, rimanga un fatto intimamente personale ma con potenziali ripercussioni pubbliche. Come scrive il politologo Francis Fukuyama in “Identity” (Farrar, Straus and Giroux, 2018), “la fede religiosa, in un’epoca di identità frammentate, può offrire quella narrazione coerente che la politica contemporanea non riesce più a garantire”.
Dalle altre fedi a Roma: il fascino dell’universalità cattolica
Un capitolo particolarmente interessante è quello delle conversioni al cattolicesimo da parte di esponenti di altre confessioni religiose, in particolare dall’ebraismo e dall’islam. Questi passaggi, spesso dolorosi per le rotture familiari e comunitarie che comportano, testimoniano il fascino che l’universalità cattolica continua a esercitare.
Il caso dell’israeliano Israel Zolli, rabbino capo di Roma durante la Seconda guerra mondiale, resta emblematico. La sua conversione, avvenuta nel febbraio 1945 dopo la liberazione di Roma, suscitò scandalo nella comunità ebraica, che la percepì come un tradimento, soprattutto alla luce dell’Olocausto appena consumato. Zolli, che nel battesimo prese il nome di Eugenio in omaggio a papa Pio XII, raccontò il suo percorso nel libro “Before the Dawn” (Sheed & Ward, 1954). La sua non fu una conversione improvvisa, ma il punto d’arrivo di una lunga ricerca teologica iniziata anni prima. “Non ho abbandonato l’ebraismo”, dichiarò, “l’ho completato”. Judith Cabaud, nella biografia “Israel Zolli, rabbino di Roma” (San Paolo, 2010), presenta la sua conversione come un atto di coerenza intellettuale piuttosto che di opportunismo, come invece sostennero i suoi detrattori.
Più recente e altrettanto significativa è la conversione di Magdi Cristiano Allam, giornalista egiziano naturalizzato italiano, ex vicedirettore del Corriere della Sera. Musulmano moderato e critico dell’islamismo radicale, Allam è stato battezzato da Benedetto XVI durante la veglia pasquale del 2008. Nel suo libro “Grazie Gesù” (Mondadori, 2008), Allam descrive il suo percorso come una liberazione: “Dal relativismo sono approdato alla fede nell’Assoluto”. La sua conversione è stata criticata da molti leader musulmani come una provocazione, soprattutto per la scelta di ricevere il battesimo dal Papa in una cerimonia pubblica. Negli anni successivi, tuttavia, Allam ha preso le distanze dalla Chiesa su alcuni temi, in particolare sull’immigrazione e sul dialogo interreligioso, fino a dichiarare nel 2013 di non riconoscersi più nel “cattolicesimo relativista e remissivo” di Papa Francesco, pur restando cristiano.
Di segno diverso ma ugualmente significativa è la conversione di Muhammad Shaikh, intellettuale pakistano che ha abbracciato il cattolicesimo nel 2005, come documentato dal Pakistan Christian Post (12 aprile 2005). La sua decisione gli è costata minacce di morte e l’esilio, ma non l’ha fatto recedere. In un’intervista ad Asia News (3 maggio 2006), Shaikh ha spiegato: “Ho trovato nel cattolicesimo quella sintesi di fede e ragione che l’islam promette ma non realizza. E ho scoperto un Dio che non chiede sottomissione ma offre amore”.
Queste conversioni dall’ebraismo e dall’islam al cattolicesimo sembrano confermare ciò che il filosofo Jean-Luc Marion scrive in “Dio senza essere” (Jaca Book, 2008): “Il cristianesimo non è una religione tra le altre, ma il superamento del religioso stesso in direzione di un incontro personale con Dio”.
La via dell’arte: quando la bellezza conduce alla verità
Un percorso particolare verso il cattolicesimo è quello degli artisti, per i quali spesso è la via pulchritudinis, la via della bellezza, a condurre alla verità della fede. Il compositore francese Olivier Messiaen, uno dei giganti della musica del Novecento, non era un convertito in senso stretto, essendo nato in una famiglia cattolica, ma visse un profondo risveglio spirituale che influenzò tutta la sua opera. Come riporta il musicologo Peter Hill in “The Messiaen Companion” (Faber & Faber, 1994), la fede di Messiaen non era un ornamento esteriore ma il cuore stesso della sua ispirazione. Opere come la “Turangalîla-Symphonie” o il “Quatuor pour la fin du temps”, composto durante la prigionia in un campo di concentramento tedesco, sono tentativi di tradurre in suoni i misteri della fede cattolica.
Tra i convertiti in senso proprio, spicca la figura del poeta americano Robert Lowell. Nato in una famiglia protestante del New England, Lowell si convertì al cattolicesimo nel 1940, all’età di 23 anni, influenzato dalla lettura di Léon Bloy e Jacques Maritain. Come documenta Jeffrey Meyers nella biografia “Robert Lowell: Life and Art” (Houghton Mifflin, 1994), la conversione di Lowell fu così radicale da spingerlo a rompere con la famiglia e con la tradizione culturale in cui era cresciuto. La sua prima raccolta poetica, “Lord Weary’s Castle” (1946), vincitrice del Premio Pulitzer, è intrisa di simbolismo cattolico e di una visione sacramentale della realtà. Sebbene Lowell si sia poi allontanato dalla pratica religiosa negli anni ’50, la sua formazione cattolica ha continuato a influenzare la sua poetica.
Più recente e meno nota è la conversione del regista polacco Krzysztof Zanussi, avvenuta negli anni ’60. Come racconta egli stesso nel libro-intervista “Tra fede e cultura” (Spirali, 2003), il suo percorso verso il cattolicesimo fu segnato dalla lettura delle opere di Romano Guardini e dall’amicizia con Karol Wojtyła, futuro Giovanni Paolo II. “L’arte che non si pone domande ultime non è vera arte”, ha dichiarato in un’intervista a La Civiltà Cattolica (aprile 2007). “E le domande ultime, prima o poi, conducono alla soglia della fede”.
Questi esempi mostrano come, per molti artisti, la conversione non sia stata una fuga dall’arte verso la religione, ma una riscoperta della dimensione trascendente dell’arte stessa. Come scrive il filosofo Jean-Luc Nancy in “Del sacro” (Bollati Boringhieri, 2007), “l’arte e il sacro condividono lo stesso spazio: quello dell’invisibile che si fa visibile, dell’indicibile che cerca espressione”.
Le conversioni dell’era digitale: nuove strade per antiche ricerche
Nell’era di internet e dei social media, anche le conversioni religiose assumono forme nuove, talvolta più pubbliche e mediatiche, talvolta più discrete ma facilitate dall’accesso a risorse online che un tempo sarebbero state difficilmente reperibili. È il caso di Leah Libresco, blogger atea e razionalista che ha annunciato la sua conversione al cattolicesimo sul blog Patheos nel 2012, scatenando un putiferio nel mondo dell’ateismo militante online. Come racconta nel suo libro “Arriving at Amen” (Ave Maria Press, 2015), il suo percorso è stato puramente intellettuale: “Non ho avuto esperienze mistiche o crisi esistenziali. Ho semplicemente seguito l’argomentazione morale fino alla sua conclusione logica, e mi sono ritrovata cattolica”. La sua conversione è stata coperta da testate come CNN, The Huffington Post e The Guardian, facendone un caso emblematico di conversione nell’era digitale.
Simile ma con sfumature diverse è la conversione di Jennifer Fulwiler, blogger texana e atea convinta, che ha documentato il suo cammino verso il cattolicesimo nel libro “Something Other Than God” (Ignatius Press, 2014) e nel suo blog “Conversion Diary”. Per Fulwiler, madre di sei figli, il percorso è iniziato con domande esistenziali sulla maternità che l’ateismo non riusciva a soddisfare. “Mi sono ritrovata a pregare un Dio in cui non credevo ancora”, ha scritto, “e lui ha risposto”.
Un fenomeno interessante è anche quello dei “cattolici digitali”, convertiti che utilizzano i nuovi media per testimoniare la loro fede. Brandon Vogt, convertito dall’ateismo nel 2008, ha fondato StrangeNotions.com, un portale di dialogo tra cattolici e atei, e ha scritto “Why I Am Catholic (And You Should Be Too)” (Ave Maria Press, 2017). Vogt rappresenta una nuova generazione di convertiti che non vede contraddizione tra fede cattolica e cultura digitale, ma anzi utilizza la seconda per diffondere la prima.
Questi esempi mostrano come, nell’era digitale, le conversioni religiose non siano diventate più rare o più superficiali, come alcuni temevano, ma abbiano trovato nuovi canali di espressione e condivisione. Come osserva il sociologo Massimo Introvigne nel saggio “Nuove religioni e Internet” (Mimesis, 2015), “il web non ha sostituito l’esperienza religiosa tradizionale, ma l’ha integrata, offrendo spazi di confronto e approfondimento che spesso conducono a incontri reali e a scelte concrete”.
Conclusioni: oltre lo stereotipo
Questa rassegna, necessariamente incompleta, di conversioni celebri al cattolicesimo ci mostra quanto sia riduttivo lo stereotipo del convertito come persona fragile in cerca di certezze o, all’opposto, come opportunista in cerca di visibilità. Le strade che conducono a Roma sono infinite, come infinite sono le motivazioni, le esperienze, i percorsi intellettuali ed emotivi che portano uomini e donne a bussare alle porte della Chiesa.
Se c’è un filo conduttore in queste storie così diverse, è forse quella ricerca di una verità che non sia solo intellettuale ma esistenziale, di una coerenza tra pensiero e vita, di una risposta che abbracci tutte le dimensioni dell’umano. Come scrive il filosofo Charles Taylor in “L’età secolare” (Feltrinelli, 2009), “il bisogno di significato e di pienezza non è scomparso nella modernità secolarizzata; ha solo assunto forme diverse, talvolta meno visibili ma non meno intense”.
Per chi crede, queste conversioni sono segno dell’azione della grazia che opera nei modi più imprevedibili. Per chi non crede, sono comunque testimonianze di quella inquietudine che caratterizza l’umano, di quel “cuore inquieto” che, come diceva Agostino, non trova pace finché non riposa in qualcosa – o Qualcuno – che lo trascende.
E forse, in fondo, è proprio questo il fascino perenne delle storie di conversione: ci ricordano che, in un mondo che sembra premiare il cinismo e l’indifferenza, la ricerca della verità e la disponibilità a cambiare vita per essa restano valori fondamentali. Anche quando – anzi, soprattutto quando – portano dove non ci si aspettava di arrivare: davanti a un altare, in ginocchio, a confessare che forse, dopotutto, non siamo noi i padroni del nostro destino.
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