Antonio Perna
Giornalista free-lance, tessera Odg 58807, cronista dal 1986 anno in cui l'Italia per la prima volta si connette a Internet
La politica siciliana è un teatro che, più che cambiare attori, ricicla copioni. Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo, protagonisti da oltre vent’anni, ne sono l’esempio più vivido. Un tempo compagni di scena, oggi antagonisti irriducibili, sembrano recitare da anni la stessa pièce: “Io vinco, tu perdi, e viceversa”.
Eppure, quando i due muovevano i primi passi, avevano un maestro. Uno di quelli veri, che non insegnava a strillare nei comizi ma a tessere la tela nei corridoi. Calogero Mannino — ministro, democristiano di razza, stratega dalla pazienza certosina — era il regista silenzioso che insegnava l’arte della mediazione. Con lui, la Sicilia non era una mappa da conquistare, ma una scacchiera dove ogni mossa andava pensata tre mosse avanti.
Negli anni ’80 e ’90, Mannino aveva costruito una scuola politica in cui la parola “nemico” non esisteva: c’era solo l’avversario di oggi che poteva essere l’alleato di domani. Così, mentre la Prima Repubblica franava sotto i colpi di Tangentopoli, lui teneva il punto, difendendo l’idea che la politica fosse, prima di tutto, un’arte di governo e non una guerra di trincea.
Ma l’allievo Cuffaro, diventato presidente della Regione, e l’allievo Lombardo, destinato a succedergli, col tempo smarrirono quella lezione. Nel 2008 Lombardo prese Palazzo d’Orléans anche grazie all’appoggio di parte dell’Udc di Casini. L’anno dopo, arrivò la rottura: Cuffaro e i suoi passarono all’opposizione, inaugurando una stagione di vendette incrociate, più simile a una faida di paese che a un confronto politico.
Mannino, osservando, avrebbe forse ripetuto una delle sue frasi preferite: “In politica, o si compone, o si perde”. Ma loro preferirono il ring alla sala delle trattative. Così, invece di sedersi al tavolo e spartirsi le mosse come lui aveva insegnato, scelsero di rovesciarlo.
Oggi, a distanza di anni, il duello continua. Non più per il potere vero, ma per l’ultima parola in un litigio iniziato tanto tempo fa. E chissà se, guardandoli, Mannino non pensi che, come maestri, la peggiore sconfitta non sia perdere la partita, ma vedere i propri allievi giocare senza sapere più le regole.
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