Antonio Perna
Giornalista free-lance, tessera Odg 58807, cronista dal 1986 anno in cui l'Italia per la prima volta si connette a Internet
C’è una guerra che si combatte senza eserciti schierati, senza cannoni, senza carri armati. È una guerra invisibile, eppure più insidiosa delle bombe. È la guerra delle parole, delle suggestioni, delle menzogne sistematiche. Donald Tusk, premier polacco, l’ha definita una “marea” che sommerge l’Europa: la disinformazione orchestrata dal Cremlino.
Un’analisi di Res Futura, un’organizzazione polacca che studia la sicurezza informatica, ci dice che su 32 mila commenti relativi ai droni russi caduti in Polonia, quasi il 40% era prodotto da un’operazione psicologica russa. Non erano cittadini, non erano opinioni spontanee: erano strumenti, automi digitali, programmati per insinuare un dubbio e rovesciare la verità. Perché il punto non è tanto convincere, ma confondere, destabilizzare, dissolvere le certezze.
Eppure la realtà, nuda e cruda, è incontestabile: quei droni erano russi, e persino la Bielorussia lo ha ammesso. Ma nell’ecosistema della menzogna ciò non basta, perché la percezione può essere ribaltata. Ed è questo l’obiettivo di Mosca: convincere gli europei che non è Putin a invadere, ma l’Ucraina a provocare; che non è l’aggressore a uccidere, ma l’aggredito a resistere “oltre misura”.
Qui da noi, in Italia, la situazione è ancora più grave. Da due anni assistiamo a un fenomeno inquietante: una parte crescente dell’opinione pubblica è persuasa che la Russia non abbia alcuna responsabilità, che tutto sia una “provocazione della NATO”, che difendersi equivalga a “fare la guerra”. Un rovesciamento totale della realtà.
C’è in questo qualcosa di antico e di nostro. Un certo antiamericanismo viscerale, che attraversa la sinistra radicale come la destra nazionalista. Una nostalgia, spesso inconsapevole, per l’idea di una Russia “eterna”, baluardo contro l’Occidente consumista. E soprattutto una diffidenza congenita verso le istituzioni europee e verso la politica: terreno fertile per chi vuole manipolare.
Mosca lo sa, e approfitta di ogni crepa. I social network diventano cassa di risonanza. I talk show televisivi, con la loro ossessione per la rissa, danno spazio a ospiti che rilanciano slogan pronti all’uso. Siti sedicenti “alternativi” diffondono bufale con la pretesa di “svelare la verità”. Il tutto in un flusso continuo, che non persuade ma logora.
Il pericolo non riguarda solo Kiev, e non riguarda solo i confini orientali d’Europa. Riguarda noi. Perché se la verità diventa relativa, se il principio di realtà viene sostituito dal principio di propaganda, allora la democrazia vacilla. La democrazia non vive senza cittadini informati, senza opinioni fondate sui fatti. Se il terreno si dissolve, l’edificio si sgretola.
La Russia di Putin combatte due guerre: una in Ucraina, con i carri armati; e una in Europa, con le menzogne. La prima è visibile, la seconda no. Ma entrambe hanno lo stesso obiettivo: indebolire, dividere, fiaccare la resistenza morale dell’Occidente.
Noi europei dobbiamo dirci la verità, e ripeterla con forza. Non siamo guerrafondai se difendiamo chi è stato aggredito. Non siamo provocatori se difendiamo i nostri confini, i nostri valori, la nostra libertà. La vera provocazione è l’invasione. La vera guerra è quella di Putin. Tutto il resto è fumo, manipolazione, strategia di dissoluzione.
E allora la risposta non può che essere una: custodire la verità. Non lasciarla seppellire dal fango della menzogna, non cedere alla tentazione del dubbio permanente. Perché in questo tempo di guerre visibili e invisibili, la verità è l’ultima trincea della democrazia.
Questo contenuto è stato disposto da un utente della community di BlogSicilia, collaboratore, ufficio stampa, giornalista, editor o lettore del nostro giornale. Il responsabile della pubblicazione è esclusivamente il suo autore. Se hai richieste di approfondimento o di rettifica ed ogni altra osservazione su questo contenuto non esitare a contattare la redazione o il nostro community manager.


Commenta con Facebook