C’è una foto che mi ritrae mentre vado al mare con mio figlio. Non è una foto particolarmente artistica né eroica. Non sventolo bandiere, non cavalco onde. Porto una piscina. Gonfiabile. Sottobraccio. E con l’altra mano tengo un ombrellone, uno zaino, un borsone termico e forse anche un paio di infradito che non sono nemmeno mie.
Benvenuti nella vita del padre moderno. Un tempo — e parlo degli anni ’80 e ’90, mica del Neolitico — il padre era una figura mitologica. Un’entità che appariva in casa all’ora di cena, già stanco, già in pigiama mentale, con un giornale sottobraccio e la voce stentorea che bastava a far tremare le suppellettili. La tv faceva la sua parte: il papà era l’uomo forte, lavoratore, un po’ burbero, mai visto cambiare un pannolino. Al massimo alzava il volume per coprire il pianto del neonato.
La madre? Casalinga. Sempre sorridente. Sempre pronta. Mai un dubbio, mai un “ma io oggi avrei voluto dormire”. Poi qualcosa è cambiato. La società ha fatto click. E anche noi uomini — alcuni di noi, almeno — abbiamo fatto crack, aprendoci come noci di cocco sotto il sole cocente della responsabilità condivisa. Io oggi sono quel tipo di padre che mette la crema solare 50 al figlio e poi anche a sé stesso, con movimenti goffi da piovra spaesata. Che si carica l’ombrellone come un reduce da guerra e attraversa mezzo litorale per trovare un metro quadro all’ombra. Che dice frasi tipo: “Hai fatto la cacca, amore?” in pubblico, e senza vergogna. Niente più scogliere scivolose da conquistare a piedi nudi con un telo da mare in spalla e zero piani. Adesso si viaggia con logistica degna della NASA. Ogni uscita al mare è un’operazione militare: crema, giochi, salvagente, frutta già tagliata, bottiglie d’acqua ghiacciate, cambio completo, pannolini, salviette, amuleti contro la noia. Altro che “vado a farmi un bagno”. Ma sapete una cosa? Va bene così. Anzi, è bellissimo così. Perché forse non vogliamo essere quello che abbiamo visto da piccoli. Forse vogliamo essere meglio. Presenti, stanchi, sudati, a volte ridicoli. Ma migliori. E allora sì: porto la piscina al mare. Gonfiabile, certo. Ma anche piena di senso. E allora sì: porto la piscina al mare. Gonfiabile, certo. Ma anche piena di senso. Un senso fatto di amore, di diritti, di presenza. Di umanità.
Un senso che dice che non c’è niente di meno virile nel cambiare un pannolino, ma molto di più: più coraggio, più tenerezza, più libertà. Perché essere padre oggi non significa più comandare dall’alto, ma scendere in campo — con la crema 50, il cappellino e pure i braccioli — e giocarsela, ogni giorno.
Non vogliamo essere eroi. Vogliamo esserci. E se questo significa fare il mulo da spiaggia e gonfiare una piscina con l’affanno, allora ben venga: ho smesso di cercare scogliere solitarie. Preferisco costruire castelli, accanto a lui, nella sabbia.
Questo contenuto è stato disposto da un utente della community di BlogSicilia, collaboratore, ufficio stampa, giornalista, editor o lettore del nostro giornale. Il responsabile della pubblicazione è esclusivamente il suo autore. Se hai richieste di approfondimento o di rettifica ed ogni altra osservazione su questo contenuto non esitare a contattare la redazione o il nostro community manager.
Commenta con Facebook