Antonio Perna
Giornalista free-lance, tessera Odg 58807, cronista dal 1986 anno in cui l'Italia per la prima volta si connette a Internet
Che il calcio sia ormai un’industria con le mascelle digrignate, lo dicono i fatti prima ancora dei filosofi da salotto.
Eppure, quando Andrea Soncin — già chiomato guerriero della laguna, oggi virgulto sapiente della panchina azzurra — confessa di aver ritrovato lo sport nell’anima delle sue ragazze, non siamo dinanzi a una semplice boutade, ma a una verità che colpisce come un siluro sotto la linea di galleggiamento del Titanic pallonaro maschile.
“Non tornerei al calcio degli uomini… sono in paradiso”, dice Soncin.
Ah, Andrea caro! Tu non fuggi dal professionismo, ma dalla professione svuotata. Tu rinunci alla zona di conforto per cavalcare un’idea più antica del calcio stesso: quella della lealtà, della passione come fuoco sacro, della squadra come sodalizio cavalleresco. Sei tornato al punto alfa del nostro sport, là dove la partita non è business ma liturgia. Dove la maglia è ancora sudore e non logo.
Nel calcio degli uomini, Soncin aveva tutto: contratto lungo, stima, Venezia. Ma il vero Doge lo è diventato oggi, governando un gruppo di ragazze che sembrano uscite da un romanzo di Malaparte e non da un reality.
Il Maschio del calcio moderno: un attore mediocre in un cinema decadente
Il calcio maschile, oggi, pare un circo cieco che ruota attorno a sé stesso. I presidenti impazzano come padroni medievali, i procuratori consumano i campi prima ancora dei tacchetti, gli allenatori recitano come in una tragedia greca — solo che nessuno piange per davvero, perché nessuno ci crede più.
Bruno Pesaola, che aveva l’allegria napoletana e l’anima partigiana, lo diceva con candore: “Non si ride più”.
Peruzzi, portiere filosofico per caso, lo ha inchiodato alla verità: “È diventato un cinema”.
Sì, ma di quelli dove paghi il biglietto per un kolossal e ti rifilano una fiction da tardo pomeriggio.
Soncin, nel frattempo, fa allenare la Nazionale con musica. Musica vera. Non le urla da spogliatoio o le bestemmie da bordocampo. Musica come sottofondo di armonia, come ritmo condiviso. Il calcio delle donne — e Soncin questo lo ha capito con l’occhio del rabdomante — è un atto di amore sportivo che resiste ancora alle correnti avverse del mercato e del cinismo.
Le escluse che fanno il tifo: un gesto da era mitologica
Ecco Beccari, Rosucci, Galli, le escluse dall’Europeo. Dove sono? In Svizzera, a tifare. A sostenere chi ha preso il loro posto.
Nel calcio maschile, sarebbe come vedere un avvocato difendere il collega che gli ha soffiato la causa del secolo. Ma le ragazze — così le chiama Soncin, con tenero rispetto e non con paternalismo — vivono ancora il calcio come comunità. Non c’è invidia, ma un senso di appartenenza che fa tremare le fondamenta dello sport televisivo.
E allora la domanda resta lì, sospesa come un pallone sotto il sette:
Ma chi mai tornerebbe al calcio maschile, che non è più calcio?
La risposta non è necessaria. Basta guardare il sorriso di Soncin, la gioia delle sue ragazze, le note in campo e il silenzio che cade come una condanna sulle tribune dorate della Serie A.
Il calcio vero, oggi, si gioca altrove.
Forse lo trovate là, in uno spogliatoio con le casse che suonano e l’anima che canta.
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