La Procura di Gela ha disposto il sequestro di una vasta area all’interno della raffineria della città destinata a discariche. Lo comunica l’ufficio inquirente di Gela guidato dal procuratore Fernando Asaro.

La misura si inquadra in una nuova inchiesta aperta per “verificare nuovi e diversi elementi indiziari rispetto a quanto
già acquisito nel procedimento penale allo stato pendente davanti al tribunale nei confronti di 22 imputati”.

A finire sotto accusa furono i vertici della raffineria fino al 2014 imputati, tra l’altro, di disastro innominato.

Il sequestro è stato eseguito da personale della Capitaneria di Porto di Gela e del commissariato di polizia. La Procura di Gela indaga da almeno un decennio su ipotesi di inquinamento ambientale e illeciti nello smaltimento dei rifiuti nell’area industriale.

Nel tempo sono stati celebrati diversi processi. Alcuni sono attualmente pendenti davanti al tribunale: in uno ha recentemente deposto un operaio della raffineria, Vincenzo D’Agostino. “Fino al 2007 quella discarica non è mai stata coperta. Per undici anni ho fatto il custode ed ero quotidianamente a contatto con i rifiuti pericolosi e con le fibre che venivano portate via dal vento. Seppi che si trattava di amianto solo da un lavoratore dell’indotto”, ha raccontato, riferendosi all’area della vasca 4 all’isola 32 dello stabilimento Eni di contrada Piana del Signore.

D’Agostino, che a causa dell’esposizione all’amianto si è ammalato, è parte civile nel dibattimento a carico di Bernardo Casa, Rosario Orlando, Aurelio Faraci, Biagio Genna e Arturo Anania, manager e tecnici dell’Eni. “Annottavo tutto quello che non andava in alcuni bigliettini e riferivo ai responsabili ma senza avere risposte – ha continuato l’operaio – Solo nel 2007 la discarica venne coperta. La cartellonistica che segnalava il pericolo venne inserita dopo il sequestro dell’area”.

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