Essere chiari, diretti, senza mai ricorrere a perifrasi, fare nomi e cognomi senza temere nessuno, dire le cose come stanno anche a costo di conquistarsi una nutrita schiera di nemici accade a pochi, anzi a pochissimi. Uno dei pochissimi è Attilio Bolzoni, giornalista di lungo corso che da decenni si occupa, con rara competenza, di fatti mafiosi.
A Bolzoni, nell’ultimo decennio, era accaduto di vivere una sorta di “stanchezza professionale”. Si era accorto che le vicende giudiziarie legate alla mafia, da cui scaturivano i suoi articoli, si assomigliavano tutte senza destare un particolare interesse, legate com’erano a logiche e dinamiche del vecchio corso quando invece si intuiva che la mafia – non più protagonista di eclatanti delitti ma subdolamente presente – stava mutando pelle.
Agli inizi del 2000 si era poi assistito a quella che sembrava essere una svolta nell’imprenditoria siciliana: il mondo produttivo, con in testa la Confindustria, si era schierato apertamente per la legalità e, nel nome e nel segno di Libero Grassi, aveva costituito un fronte comune contro il “pizzo”. Difficile non credere all’autenticità delle tante iniziative per promuovere la legalità degli imprenditori siciliani. Tra di loro in primissimo piano, chi più di tutti si ergeva a paladino dell’antimafia era Antonello Montante, originario del Nisseno proprio come Bolzoni.
Tutto nuovo e positivo: la mafia non sparava più, le imprese alzavano le barricate contro la sua tracotanza. Ma le cose stavano davvero così? I dubbi cominciarono a insinuarsi quando trapelò un’inattesa, clamorosa notizia: Montante era indagato per fatti intimamente connessi alla mafia.
Nel recentissimo saggio “Il padrino dell’antimafia”, sottotitolo “una cronaca italiana sul potere infetto” edito da Zolfo, Bolzoni ripercorre le tappe del suo lavoro investigativo-giornalistico su Antonello Montante, sulle associazioni imprenditoriali siciliane e su tutto ciò – ed è tanto, tantissimo – che vi ruotava attorno.
Un lavoro certosino in cui spiccano la destrezza professionale, il fiuto, ma anche la prudenza di Bolzoni e che conduce a risultati eclatanti quanto inquietanti: Antonello Montante è il più clamoroso dei bluff, un personaggio creato ad arte tutt’altro che esempio di legalità, semmai d’illegalità, come si evincerà dagli atti giudiziari (nel maggio di quest’anno la condanna a quattordici anni di reclusione poi patteggiati), il movimento antimafia degli imprenditori siciliani è quasi tutto marcio, invischiato nei più nefasti giochi e interessi di potere.
Il libro di Bolzoni parte dai fatti per arrivare ai fatti. Non si perde in supposizioni, sospetti, illazioni. Tutto è documentato e riscontrabile in atti giudiziari.
Ma i fatti sono esplosivi, rivelano una rete vastissima creata dal boss della Confindustria siciliana e che coinvolge i palazzi del potere politico, giornalisti e persino uomini delle più alte istituzioni e dell’antimafia. Le conclusioni cui perviene Bolzoni sono presenti nel sottotitolo del saggio: in Italia una parte del potere è “infetto”.
Quanto all’antimafia, la posizione di Bolzoni è chiara. Bisogna distinguere e non fare né generare confusione. Vi è un’antimafia contaminata da Cosa Nostra – le cui capacità mimetiche sono notorie – e un’antimafia che nulla ha a che spartire con la mafia che però, nel corso del tempo, salve eccezioni, si è rivelata inadeguata o addomesticata da prebende varie.
“Il padrino dell’antimafia” è un libro da leggere per capire meglio la realtà italiana in tutte le sue sfaccettature, anche quelle più sinistramente amare. Ed è anche un libro molto utile per chi nutre passione per il giornalismo.
Leggendolo, infatti, un aspirante cronista apprende come va condotta un’inchiesta giornalistica: con scrupolo, determinazione, coraggio, cautela.
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