Continua a tenere banco la complessa vicenda dei due capigruppo del Pd in Consiglio comunale a Catania. Da una parte c’è Giovanni D’Avola, che ha incassato il sostegno del segretario provinciale del partito, Enzo Napoli,  dall’altra Nino Vullo, votato da tre dissidenti.

La questione è finita nelle mani dell’avvocatura comunale che ha espresso un parere, inviando una lettera alla presidente del consiglio comunale etneo, Francesca Raciti che l’aveva richiesto per dirimere, ad esempio, la convocazione della capigruppo.

Per chiarire meglio l’ingarbugliata faccenda è necessario ricordare che i consiglieri Pd  a Catania sono sei ed così si arriva al cuore del problema e al parere dell’avvocatura:  la sfiducia a Giovanni D’Avola e la contestuale elezione di Nino Vullo è stata votata da Ersilia Saverino, Niccolò Notarbartolo e dallo stesso Nino Vullo e  “pare impossibile – si legge nel parere – sostenere la legittimità di un procedimento diretto alla sostituzione di un capogruppo già eletto a suo tempo con la maggioranza assoluta”.

In sostanza, Vullo doveva essere eletto da almeno 4 consiglieri così come avvenne per D’Avola poco dopo le Amministrative 2013. Quello dell’avvocatura è un parere giuridico, ma i cosiddetti ‘autoconvocati’ o ‘dissidenti’ avrebbero affidato a dei legali una controdeduzione.

A questo punto il panorama che viene fuori è questo: da un lato la questione potrebbe diventare giuridica, venendo affrontata nei luoghi e nei tempi che prevede il diritto; dall’altro un caso politico che, invece, deve essere affrontato dal Pd che attraverso il segretario regionale Fausto Raciti ha invocato compattezza.

Il pericolo di una scissione interna è scongiurato perché non c’è la volontà da parte di alcuno di mollare le insegne dem, ma trovare una soluzione appare piuttosto complesso.

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