Il valore del dono non ha bisogno di definizioni complesse: lo si riconosce negli occhi di chi ha aspettato una cura, una possibilità, un gesto capace di cambiare tutto. Lo si comprende ascoltando storie che sembrano incredibili e che invece nascono dal coraggio di chi sceglie di aiutare, dalla competenza dei medici, e da una comunità che decide di prendersi cura degli altri.

La storia raccontata dal direttore dell’Istituto Mario Negri

Tra queste storie, quella raccontata da Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Mario Negri, colpisce per la sua forza. Un bambino siciliano, nato con una gravissima cardiopatia congenita, viene trasferito in un centro trapianti del Nord. Ha pochi giorni di vita e già affronta prove enormi: un cuore che non funziona, l’attacco immediato a un dispositivo artificiale, i tubi, le macchine, l’attesa che diventa routine. Resta in ospedale 490 giorni, e in quel tempo impara tutto ciò che un bambino di quell’età dovrebbe imparare a casa: a bere il latte, a mangiare le pappe, a gattonare. Sempre collegato a un cuore artificiale che gli garantisce la possibilità di andare avanti.

Il cuore nuovo

Poi, dopo 450 giorni, arriva il cuore nuovo. Un organo donato che diventa futuro. Il bambino ricomincia a vivere: respira da solo, cresce, gioca. Torna in Sicilia, dove oggi vive come gli altri suoi coetanei. «Questo è il trapianto», dice Remuzzi. «Ed è la prova di quanto sia prezioso non portare gli organi in paradiso: al paradiso non servono. Servono qui.»
Parole semplici, ma potentissime. Ricordano che donare salva la vita, e che dietro ogni vita salvata c’è un domani restituito non solo a una persona, ma a un’intera famiglia e alla comunità che la circonda.
È questo il senso dell’iniziativa promossa dall’ASP di Catania, che ha riunito il personale sanitario, amministrativo, tecnico e direttivo, le risorse che ogni giorno contribuiscono al funzionamento dell’Azienda Sanitaria Provinciale, insieme alle istituzioni e ai vertici delle forze dell’ordine.

Il significato profondo della donazione

Una riflessione sul significato profondo della donazione in tutte le sue forme: sangue, emocomponenti, organi, midollo, cellule cordonali. “Inclusione e donazione vanno insieme” ha ricordato il direttore generale Giuseppe Laganga Senzio, sottolineando come il gesto del donare unisca responsabilità civile, progresso medico e attenzione verso la fragilità delle persone.
Perché la donazione non è solo una procedura prevista dalla legge: è un atto culturale, un investimento sul futuro, un ponte tra chi dà e chi riceve. Ogni giorno, spesso nel silenzio, questi gesti rendono possibili trapianti, terapie salvavita, assistenza continua, ricerca. Sono questi i gesti che sorreggono la sanità pubblica.

Il prefetto sul palco

Il prefetto Pietro Signoriello, sul palco del Teatro Don Bosco di Catania, ha messo in evidenza l’importanza della collaborazione tra mondo sanitario, istituzionale e sociale. Un momento di confronto che prosegue il percorso avviato con la campagna “Pensa col cuore. Dona prima di partire”, nata dalla collaborazione con la Prefettura per diffondere una cultura del dono consapevole e partecipata. Presente anche Giorgio Battaglia, coordinatore del Centro Regionale Trapianti e direttore del Dipartimento di Medicina dell’Asp, che ha raccontato il lavoro della rete, necessario per rendere possibile ogni trapianto: un sistema complesso che funziona solo quando ogni parte – medici, operatori, istituzioni, cittadini – si muove nella stessa direzione.

La serata

La serata, condotta da Ruggero Sardo, si è trasformata in un abbraccio collettivo, un momento in cui storie, volti ed emozioni si sono intrecciati per ricordarci che il dono più grande è quello che permette a un’altra vita di continuare a brillare. Si è chiuso con «Rosso. La Bottega dei Bottoni», lo spettacolo della Compagnia Guardastelle: bambini e ragazzi che, anche con diverse abilità, hanno trasformato il teatro in un viaggio di espressione, coraggio e inclusione, portando in scena la delicatezza delle fragilità, la forza dei legami, la luce della speranza, gli stessi elementi che danno alla donazione il suo significato più profondo: un gesto di amore autentico, che cambia la vita.
Sul palco e tra il pubblico, un unico filo rosso ha unito istituzioni, vertici delle forze di polizia, e tutti i presenti: espressione della acquisita consapevolezza che donare significhi costruire comunità. Riconoscere che il destino dell’altro riguarda anche noi. Scegliere la vita, ogni volta che è possibile. E allora sì, come ricorda Remuzzi, «gli organi non vanno portati in paradiso». La nostra umanità, il nostro coraggio e il nostro senso di responsabilità trovano compimento qui, nella vita di chi attende un dono per poter rinascere.