La cocaina in panetti da un chilo dentro borsoni, adagiata sulle ceste di banane. A vista. Dentro anche l’occorrente per sostituire in fretta e furia i sigilli posti a chiusura del container. Per permettere l’apertura improvvisa e l’eventuale chiusura del convoglio con dentro frutti esotici senza lasciare traccia.
Avevano previsto anche questo i narcos sudamericani del cartello di Medellin per il carico di ‘neve’ giunta nel porto di Salerno e destinata alla mafia del clan di Brancaccio a Palermo.
Se ce ne fosse stata l’esigenza, quel carico di banane stupefacenti poteva essere aperto e senza troppa fatica sarebbe stato possibile prelevare i 110 chili di coca da destinare ad altro corriere. Tutto questo però non è stato possibile. Perché in banchina gli uomini del tenente colonnello Francesco Ruis, comandante del nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Catania e del capitano Paolo Bombaci, comandate del Gico di Catania, sono andati a colpo sicuro. Hanno puntato quel container ed hanno messo le mani sul carico di cocaina.
Il ritrovamento della sostanza stupefacente del valore di 14 milioni di euro ha fatto scattare il fermo di quelli che la procura distrettuale ritiene gli organizzatori e i destinatari finali della droga.
I due palermitani Antonino Lupo, 54 anni, fratello del boss di Brancaccio, palermitano come Antonino Ignazio Catalano, 52 anni, quali principali committenti. Assieme a Vincenzo Civale, napoletano, fermato a Frosinone lavorava sottotraccia Eliseo Clauedy Cruz Peguro, cittadino spagnolo, il quarto indagato e mai rintracciato perché residente lontano dall’Italia.
Il primo teneva i rapporti con gli acquirenti palermitani, il secondo invece gestiva i canali con i grossisti sudamericani.
Intercettati dai pm catanesi Andrea Bonomo e Alessia Minicò, i protagonisti di una “Gomorra” tutta siciliana parlano di frutta e verdura per eludere i controlli. Lupo, utilizzando l’indirizzo di posta elettronica della ditta “Pregi di Sicilia” contatta due imprese con sede a Cali e Santa Marta in Colombia. Parla dell’acquisto di “polpa di frutta” e si rammarica che il “lavoro con l’olio di Palma non si poteva fare più, dovevano provare a celare lo stupefacente con un carico di concime”.
Civale e Lupo (uno dei due palermitani arrestati) usavano rispettivamente i nomi in codice “Ramon” e “Pedro” per scambiarsi messaggi via “pin to pin”, una chat per i telefonini Blackberry. “Perché i milioni saranno tanti anzi tantissimi… qui ne hanno a tonnellate e vogliono lavorare con noi”, scriveva Pedro. Civale parlava spesso anche con Peguero Cruz, l’uomo che gestiva i contatti con i narcos colombiani: “Andiamo a Palermo con mio signore… dobbiamo parlare di tutto con mio signore”.
Parte così il carico verso Palermo, ma con l’indicazione finale errata, quella di Salerno. Tra il 4 e il 5 marzo scorso frenetici sono stati i contatti fra Peguero, alias “Maria Teresa”, e Pedro. Il successivo 8 marzo sarebbe arrivato un grosso carico di stupefacenti: “Mercoledì arrivano 100 a Salerno”. Salta fuori l’errore. Gli spedizionieri hanno caricato la merce sulla nave sbagliata: “Digli al signore che la mia gente sta mandando 100 per sbaglio che invece di mandarli a Palermo lo stanno facendo a Salerno”.
E così Pedro ha scritto a Lupo: “E invece hanno sbagliato nave e l’hanno caricato su una nave che arriva a Salerno mercoledì della prossima settimana… ci sono dentro 100 che erano per noi”.
Peguero, capito l’inghippo, cerca di attivarsi. Spera anche nell’aiuto di Lupo per recuperare la droga.
L’8 marzo è arrivata la risposta dell’uomo di Brancaccio: “Il problema è che la nave arriva domani… Quindi in non credo che riusciremo a fare qualcosa… Sono giorni che ti stavo scrivendo per dirti questa cosa…Vabbè non fa nulla… Leggeremo sul giornale quello che troveranno”.
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