Fabio Angelo Matà, il sotto ufficiale della Marina Militare arrestato per l’omicidio della madre Maria Concetta Velardi l’ha uccisa per vecchi rancori e dissidi personali, dopo una lite all’interno del Cimitero di Catania. Per quel rapporto conflittuale che gli aveva impedito di realizzare i propri sogni.

Sono gli investigatori della Squadra Mobile di Catania a ricostruire il movente dell’omicidio avvenuto il pomeriggio del 7 gennaio 2014. Alle 16.20 gli agenti delle Volanti della Questura di Catania intervengono dopo la telefonata di Matà che aveva riferito di avere trovato il cadavere insanguinato della madre.

Il corpo senza vita della vedova era in un corridoio tra due cappelle, a pochi metri di distanza dalla cappella della famiglia Matà. 

Durante il sopralluogo,  tra la cappella di famiglia e il cadavere della donna, è stato trovato un sasso intriso di sostanza ematica, compatibile per forma e dimensioni con una prima aggressione che la vittima avrebbe subito, con uno o più colpi alla nuca e che ne avrebbe provocato la caduta a terra.

Accanto al cadavere, c’erano come se fossero stati deposti e abbandonati dopo la selvaggia aggressione due pesanti sassi di grandi dimensioni sporchi di sangue. Altre tracce di sangue sono state trovate sulle pareti del corridoio compatibili per forma e posizione con l’ipotesi che nel punto in cui c’era il cadavere vi fosse stata una seconda violentissima aggressione consistita in una serie di colpi inferti al capo ed altre parti del corpo della vittima, che si trovava già stesa per terra, con i due pesanti sassi trovati accanto.

Sul viale davanti alla cappella Matà, era posteggiata l’autovettura appartenente al figlio della vittima con la parte anteriore rivolta in direzione di via Acquicella. Su di essa, precisamente vicino alla maniglia di aperura dalla portiera posteriore destra, una goccia di piccole dimensioni di sostanza ematica.

Da una prima ricostruzione è emerso che la donna è stata trascinata nel corridoio, come dimostra l’analisi dal medico legale e la presenza di abrasioni nella parte inferiore della schiena, la maglia indossata dalla vittima, strappata in corrispondenza del punto in cui vi erano le abrasioni, lasciava ipotizzare che la donna fosse stata trascinata dall’aggressore per ripararsi da sguardi indiscreti, mentre infliggeva i colpi di grazia.

Dopo la lite e il delitto, Fabio Angelo Matà si è creato un alibi, cercando di simulare che l’aggressione alla madre fosse avvenuta durante la sua assenza dal cimitero ed effettuando con la propria autovettura un giro che creasse un lasso di tempo sufficiente a tale scopo.

Ma l’analisi dei tabulati e le dichiarazioni rese dalle persone presenti al cimitero, ha consentito agli investigatori di affermare che la Velardi era stata aggredita in un lasso di tempo nel quale il figlio si trovava all’interno del cimitero.

Al ritorno al cimitero (documentato dai ponti di aggancio del telefono cellulare), Matà ha messo in piedi la messinscena del disperato ritrovamento con le mani piene di sangue, in modo da giustificare ogni eventuale traccia ematica della madre si di sé come frutto di contaminazione.

L’esame del Dna, del materiale genetico e delle tracce di sangue trovate sulla scena del delitto, sugli abiti e sullo sportello dell’autovettura tutte prove che secondo la polizia ‘incastrano’ il figlio come autore del delitto. 

 

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