“Avverto il dolore della sconfitta, ma è la legge. Appena ho saputo ho sentito come un peso, maggiore amarezza e ingiustizia. Accetto la legge, ma non è giusto, il mio calvario continua: chi è condannato deve scontare tutta la condanna, altrimenti non c’è certezza della pena”. Così, all’Ansa, Marisa Grasso, vedova dell’ispettore Filippo Raciti sulla concessione della semilibertà a Daniele Micale, uno dei due ultrà condannati per la morte del poliziotto da parte del Tribunale di sorveglianza di Catania.

“Sono entrata in un’aula di giustizia – aggiunge Marisa Grasso – cercando giustizia. Sono uscita da un incubo con una verità, una sentenza. Era importante per me, la famiglia e per tutti i poliziotti che rischiano la vita, come ha fatto mio marito. Sono orgogliosa di lui e della sua divisa, ma oggi sento amarezza e non giustizia”. La vedova dell’ispettore Raciti rivela di “avere ricevuto stamattina decine e decine di telefonate di colleghi” di suo marito. “Anche loro – svela – amareggiati e delusi, hanno voluto condividere con me la loro amarezza. Da cittadina dico che una condanna deve essere eseguita e una sentenza rispettata. Altrimenti si rischia di fare perdere la fiducia nella giustizia”. “Adesso – si interroga – come farò a dire a mio figlio, che aveva sei anni quando è avvenuta la tragedia, che può incontrare per strada uno delle due persone condannate per la morte di suo padre, che è in permesso, invece di stare in carcere? Capirà che è la legge? Ma è giusta questa legge? Io mi sento sconfitta”.