Accade sempre più frequentemente che banche e finanziarie si affidino a società esterne di recupero crediti sempre più agguerrite, che decidono di dar vita ad una vera e propria persecuzione pur di far fronte alle difficoltà sempre maggiori nel recupero delle somme dovute dai clienti.

Un vero e proprio terrorismo psicologico, una rappresaglia basata su metodi sempre meno ortodossi per ottenere il rientro di quanto dovuto, uno stalking che mira alla disperazione del malcapitato di turno che finisce per venir leso nella sua dignità.

Le vittime di questo malcostume raccontano di un numero ingente di telefonate a qualsiasi ora, solleciti di pagamento effettuati mediante corrispondenza minatoria, toni aggressivi e metodi tutt’altro che legali per reperire indirizzi e numeri di telefono.

Tutto ciò al fine di stringere sempre più il cerchio attorno al debitore, e lasciargli l’impressione che l’unica soluzione, la più ragionevole, sia pagare. In realtà, quello che spesso al cittadino disperato non viene detto, è che subire non è mai la soluzione.

Le modalità mediante le quali il rientro del credito è preteso finiscono infatti per rendere illegittima tutta la procedura di riscossione dello stesso.

Non di rado la prima violazione avviene già al momento dell’acquisizione dei contatti della “vittima”. Se il numero di telefono non è pubblico, probabilmente queste società avranno contattato conoscenti, parenti e vicini di casa per entrare in possesso dei recapiti. Il tutto con buona pace della privacy.

In secondo luogo, è certamente censurabile penalmente il comportamento di chi reitera ossessivamente le proprie richieste, importunando i soggetti nei luoghi di lavoro o al cellulare, recapitando continuamente corrispondenza contenente minacce ad azioni esecutive, pignoramenti di case, iscrizioni nei registri dei cattivi pagatori.
Il codice penale tutela il cittadino da tutti quei comportamenti effettuati da chi in un luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero mediante telefono reca a taluno molestia o disturbo.

A sancire la condanna di queste modalità di condotta è intervenuta persino la Corte di Cassazione con sentenza n.25033 del 22 giugno 2011, che ha stabilito che “il creditore che tempesti di telefonate il debitore per indurlo ad adempiere, rischia la condanna per molestie o disturbo delle persone. A nulla rileva l’esercizio del diritto di credito del molestatore, attesa la sub valenza di tale interesse rispetto alla tutela dell’altrui sfera individuale.”

Non lasciarsi intimorire diventa pertanto fondamentale al fine di far cessare queste pratiche scorrette, affidandosi ad un professionista che in prima istanza valuti se la richiesta di pagamento sia legittima, riconducendo in ogni caso queste società, mediante gli strumenti a disposizione degli operatori del diritto, all’agire secondo i criteri di rispetto della persona e del suo quieto vivere.