Più di 500 falsi braccianti agricoli e una decina di aziende fantasma. E’ quanto scoperto dai finanzieri di Catania che con l’operazione denominata ‘Podere mafioso’ hanno arrestato 17 persone. Tra loro un ragioniere (Alfio Lisi), un dipendente dell’Inps di Giarre (Filippo Bucolo) e tre persone ritenute dagli investigatori affiliate al clan mafioso Laudani.

Un sistema, quello portato alla luce, creato appositamente per l’appropriazione indebita dei contributi pubblici per quasi un milione e mezzo di euro. Le indagini del  Nucleo di Polizia Tributaria di Catania sono iniziate alla fine del 2014 e sono state ultimate a dicembre del 2016.

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Dalle indagini è emerso che promotori della truffa ai danni dello Stato sono Leonardo Patanè (detto “Nardo Caramma”, attualmente già detenuto presso il carcere di Augusta per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti e arrestato, nel febbraio 2016, per la sua partecipazione al clan Laudani), Giovanni Muscolino e Antonio Magro, rispettivamente a capo dei ‘gruppi’ di Giarre e Paternò del clan Laudani (entrambi già imputati per associazione a delinquere di stampo mafioso e ristretti nel carcere Bicocca di Catania).

Il sodalizio si avvaleva del determinante contributo di ragionieri, di periti commerciali, di ‘reclutatori’ di braccianti agricoli e della compiacenza di Filippo Bucolo dipendente dell’agenzia di Giarre.

Patanè, Muscolino e Magro costituivano aziende agricole intestate a persone incensurate per il tempo strettamente necessario a maturare i presupposti per la concessione dell’indennità di disoccupazione agricola. Un vorticoso proliferare di aziende “fantasma” prive di ogni consistenza patrimoniale, improduttive e senza lavoratori, utilizzate esclusivamente quali veicoli per la realizzazione del grave sperpero di denaro pubblico. La rapidità con la quale nascevano e sparivano queste realtà imprenditoriali solo di facciata serviva a eludere e rendere vano ogni controllo o ispezione da parte degli organi competenti.

Indispensabile il contributo dei familiari più stretti di Patanè (la moglie Daniela Wissel, i figli Orazio e Ramona Patanè) e di un ragioniere (Alfio Lisi). Il professionista, del tutto subordinato alla volontà di Patanè  era incaricato di formalizzare la costituzione delle aziende agricole, di iscrivere i falsi lavoratori e di chiudere il cerchio “cartolare” con la predisposizione delle buste paga. Il ragioniere era ricompensato dall’organizzazione attraverso il versamento di contanti (fino a 800 euro a settimana) e la messa a disposizione di un’autovettura.

Secondo i finanzieri, a svolgere il ruolo di ‘reclutatori’ di braccianti agricoli erano Vincenzo Cucchiara, Agatino Guarrera, Francesco Gallipoli, Fabrizio Giallongo, Ettore Riccobono, Claudio Speranza, Vincenzo Vinciullo. Li ‘recuperavano’ anche con la violenza, la parte dell’indennità percepita che spettava all’organizzazione e che ammontava almeno alla metà della somma riscossa. I reclutatori, alcuni dei quali già noti per specifici precedenti per reati contro il patrimonio, erano a loro volta braccianti e vedevano ricompensata la loro “funzione” anche con la percezione dell’indebita indennità. L’ammontare di quest’ultima, vincolata da una pluralità di parametri, oscillava da un minimo di 3.000 euro a un massimo di 7.000 euro annui.

Filippo Bucolo dipendente ‘infedele’ dell’agenzia Inps di Giarre svolgendo le sue mansioni allo sportello, comunicava a Leonardo Patanè l’esatto ammontare delle liquidazioni e seguiva da vicino ogni pratica amministrativa che potesse agevolare l’associazione criminale. Le attività tecniche hanno fatto emergere richieste di denaro contante da parte di Bucolo rivolte a Patanè e ai suoi familiari.

Una truffa dai costi minimi con guadagni enormi e che poteva contare sul consenso sociale delle famiglie delle comunità di Paternò, Giarre e Riposto che beneficiavano di una vera e propria forma illegittima di assistenza sociale.

Le indagini hanno consentito anche di acquisire gli elementi necessari per individuare il responsabile del tentato omicidio di Francesco Pistone (anch’egli già detenuto per la sua appartenenza al clan Laudani) avvenuto il 15 gennaio 2015 a San Giovanni La Punta.

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