Esce per i Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno la nuova raccolta di Massimiliano Marrani dal titolo “Dove nessuno vive” con in copertina uno splendido pastello e olio su carta telata, dello stesso Marrani.
La struttura di ogni testo consente di realizzare un equilibrio armonico tra la dimensione musicale e l’iconografia del segno, del significante e del significato nella parola posta in versi, evidenziando una straordinaria celerità nel passaggio fluido dall’elemento tangibile a quello astratto, per poi rientrare nella sfera della realtà, la quale si manifesta, in tutti i componimenti di questa silloge, attraverso una profondità di significato. La forza poetica di Marrani si caratterizza per la capacità di dipingere, in maniera iperrealistica e al contempo simbolica, una realtà urbana o meta urbana, priva di orpelli, essenziale e amara. I componimenti di questa raccolta, in cui convivono un raffinato linguaggio e la rappresentazione di immagini crudamente veritiere, Marrani consegue l’abilità di trasfigurare, così come nella sua pratica pittorica, una realtà resa più autentica e svelata nella sua nudità grazie all’intervento totale nell’estetica del ritmo. Tale risultato si inscrive in un vasto e articolato quadro surrealista, o forse post-umano, in cui il sogno funge da strumento per rivelare gli strati nascosti e sotterranei della vita umana.
Dalla nota dell’autore: “A ogni inizio sezione ho inserito alcuni appunti sulla poesia che raccolgo da un po’ di tempo. Mi sarebbe stato consigliato di raggrupparli a parte per non appesantire i testi già dal primo verso e non intimidire il Lettore e forse confonderlo. Credo fosse un consiglio tutt’altro che infondato, ma non m’importa. Mi piace l’idea di presentarli come una sorta di siparietto o piccolo test di tenuta. Nei mesi hanno anche avuto la funzione di tenere viva in me la domanda sul senso che avrebbe scrivere poesia quando è evidente che non interessa quasi a nessuno. Le ragioni dell’ormai nota condizione di quest’arte sono di certo più profonde di quanto gli appunti avrebbero l’ambizione di indicare; andrebbero forse ricercate nel progressivo offuscamento di quello sfondo arcaico da cui il linguaggio emerse, per arrivare allo sradicamento di quest’ultimo, così iperinformato, iperspecializzato, privo di misura e in bilico sul nulla. Però è un fatto che quanto si possa definire “verità” lo si domandi alla tecnica – dispensatrice di scienza, tecnologie sofisticate, produttrice seriale di cose – non più all’arte, né alla filosofia né alla religione. Per assurdo, dato che anche la felicità promessa dalla tecnica si è rivelata ipotetica, dubbia e instabile, tanto quanto la fede in un’entità superiore o in un sapere unico e incontrovertibile, non sorprende troppo che si viva in un’epoca di superstizione. Viviamo nella fede assoluta che le leggi di cui disponiamo, così efficaci, siano la realtà stessa, riproponendo solo più in grande l’abbaglio che le parole sono le cose. Il risultato di questa e di altre cecità che ne conseguono sembra l’autoannientamento in quanto la tecnica, che ha come unico obiettivo l’aumento di sé stessa, non ha e non può avere in nota il bene comune. Mentre scrivo, tutto ciò è obliterato. Sento soltanto le parole così come un pittore sente i colori (chi lo ha detto?); procedo con la ferma intenzione di seguirle senza aver chiaro dove mi porteranno, senza cioè conoscere l’esatta concatenazione di ricordi che realizzerà – forse – il testo definitivo. Nel travaso violento delle prospettive tra passato e presente, nel nesso tra distacco irrimediabile e brama di contatto, nella rappresentazione non lineare della storia, risiede la mia gioia sinistra di scrivere poesie, nonostante, a gradi diversi e a seconda degli umori, dubiti della loro necessità.”
È la casa in cui nessuno viaggia
nessuno veglia.
Il corridoio è un punto,
lo sgocciolio nel gabinetto
il suo battito.
A intervalli regolari il vussch
della fiamma pilota nella caldaia
incrina la lamiera contro
il giardino buio sul retro.
Il gorgheggio di un merlo comune.
Sembra il pigolio di un bambino
lasciato nel nido, annuncia
il rituale della tosse, l’abluzione
di un altro mattino sulla Terra.
Qui, i fratelli tornano da morti
a ricordarci che adesso
tocca a noi consolare chi resta.
Che la madre, fu sì la stessa
ma molti i semi attecchiti
nei vasi, negli orti, nei campi
da cui ora spuntano
i suoi capelli bianchi.
I loro corpi, assemblati male,
come appena incollati,
si siedono alla vecchia tavola
ad occupare i posti di Natale
e a turno, sulla seggiola a dondolo
tornano a fare i giullari.
Vogliono parlare.
Parlare del passato, loro
che vengono dal nostro futuro,
con indosso ancora i pigiami dell’ospedale
macchiati come tavole di Rorschach.
È la casa perpetua della madre.
Della mia, della vostra,
dell’inverno che prolifera
nell’umidore dell’estate
quando nell’atmosfera vola alto
il volume del televisore.
E all’amore,
che fummo programmati a dare,
gli oggetti gli oppongono
lo stolido rango del soprammobile,
il loro incantesimo fossile
il calco del silenzio
rancoroso dell’umiliato.
Massimiliano Marrani info link
https://www.massimilianomarrani.com/
I Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno info link
https://iqdbcasaeditrice.blogspot.com/2023/11/dove-nessuno-vive-di-massimiliano.html
Luogo: via marzabotto, 21, BOLOGNA, BOLOGNA, EMILIA-ROMAGNA
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