Il Coordinamento Nazionale Docenti della Disciplina dei Diritti Umani, in occasione del 34° anniversario dell’assassinio del piccolo Andrea Savoca, ucciso a soli quattro anni a Palermo il 26 luglio 1991, intende rinnovare un impegno di memoria consapevole, che non si limiti alla commemorazione rituale ma si trasformi in atto civile, in presa di posizione culturale ed educativa contro ogni forma di sopraffazione e barbarie. Andrea fu colpito deliberatamente mentre si trovava in braccio al padre Giuseppe, anch’egli condannato a morte dalla mafia per una presunta infrazione al codice d’onore criminale. Ma quell’omicidio, per la sua natura disumana, segnò un punto di non ritorno nella degenerazione etica della criminalità organizzata: non più solo un sistema coercitivo parallelo allo Stato, ma un apparato predatorio, privo di qualsiasi limite morale, capace di colpire scientemente anche un bambino incolpevole. La mafia, che per decenni aveva coltivato il mito della “giustizia interna”, aveva finalmente rivelato la sua vera natura: quella di una macchina di morte che non distingue, non misura, non esita.
Il sacrificio di Andrea ci costringe ancora oggi a porci domande radicali sulla responsabilità collettiva, sulla funzione educativa della memoria e sul fallimento — o sulla marginalità — delle istituzioni nei contesti in cui l’infanzia non ha avuto, né ha, piena cittadinanza. Palermo, città di straordinaria energia culturale ma anche di dolorose contraddizioni, rappresenta tuttora un osservatorio privilegiato — e al tempo stesso inquietante — per comprendere i meccanismi di riproduzione dell’illegalità attraverso le generazioni. In molti quartieri periferici, dove lo Stato appare come un’entità intermittente, la scuola resta l’unico presidio possibile di emancipazione. Tuttavia, è proprio qui che si registra il tasso più alto di dispersione scolastica.
Secondo i dati aggiornati al 2025, la Sicilia è ancora in testa tra le regioni italiane per abbandono scolastico precoce, con una media del 17%, mentre a Palermo il tasso di dispersione sfiora il 10% nelle scuole superiori pubbliche. Un dato aggravato da indici di povertà educativa, insufficienze diffuse nei risultati INVALSI (con oltre il 60% degli studenti in uscita dalla scuola superiore incapaci di comprendere un testo complesso), e da un progressivo allontanamento dei giovani da ogni forma di partecipazione istituzionale. In questo vuoto si inserisce la microcriminalità organizzata giovanile: bande adolescenziali, spesso reclutate fin dalla preadolescenza da famiglie già integrate nel sistema mafioso, che operano come propaggini periferiche dei clan adulti, compiendo furti, estorsioni, spaccio e atti di violenza simbolica sui coetanei.
Questo fenomeno richiama direttamente il contesto in cui avvenne l’omicidio di Andrea: una cultura del dominio che si perpetua anche attraverso la trasmissione familiare dell’antistato mafioso e l’educazione criminale dei figli. Proprio in questa prospettiva, la scuola si configura oggi non solo come luogo d’istruzione, ma come argine primario contro la deriva dell’illegalità. È necessario riconoscerle un ruolo centrale non solo formativo, ma etico e sociale, capace di restituire ai giovani una bussola valoriale, un’alternativa reale al reclutamento mafioso e una narrazione diversa della propria identità.
Occorre potenziare in modo strutturale l’Educazione alla legalità come disciplina trasversale e viva, radicata nelle pratiche quotidiane scolastiche e non ridotta a momenti episodici o formali. I percorsi di cittadinanza attiva, di memoria storica, di lettura critica della realtà devono diventare parte integrante del curricolo, soprattutto nei contesti a rischio. Questo significa investire in formazione dei docenti, in attività laboratoriali, in partenariati con realtà associative territoriali, in presidi scolastici diffusi nei quartieri più emarginati, dove oggi — troppo spesso — la dispersione equivale a diserzione delle responsabilità pubbliche.
Il CNDDU propone, in tale ottica, che il nome di Andrea Savoca non sia soltanto ricordato, ma diventi il cuore di una nuova progettualità educativa: che si istituisca a livello nazionale una giornata dedicata all’infanzia vittima della mafia; che le scuole di ogni ordine e grado, con particolare attenzione al Sud, promuovano percorsi stabili e curriculari di educazione civica e legalità democratica; che si rafforzino con fondi strutturali tutte le iniziative volte a contrastare la dispersione scolastica, a partire dai quartieri periferici di Palermo, Napoli, Catania, Reggio Calabria.
Andrea non deve essere una figura retorica, né un nome da aggiungere all’elenco delle vittime innocenti. Deve essere un simbolo attivo, un generatore di consapevolezza, un interrogativo morale lanciato al presente. Perché la scuola, se sostenuta e valorizzata, può essere davvero ciò che la mafia teme di più: un luogo in cui si formano coscienze libere, in cui si apprende a dire “no”, in cui la memoria si fa lotta quotidiana, e il futuro smette di essere una condanna ereditata.
Nella figura di Diana Seggio, madre di Andrea, che scelse di perdonare pubblicamente gli assassini del figlio, risiede un atto di straordinaria forza umana e politica. Il suo gesto fu un rifiuto della vendetta, ma anche una denuncia silenziosa dell’incapacità delle istituzioni di proteggere chi non ha colpa. A lei va oggi il nostro rispetto. Ad Andrea, la promessa che il suo nome continuerà a parlare, a interrogare, a insegnare. E che la scuola sarà il primo luogo dove quella voce continuerà a vivere.
prof. Romano Pesavento
presidente CNDDU

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