Lavorare (bene) in una città è sempre più una questione di reputazione. Non basta più avere un tessuto produttivo forte o un PIL in crescita: a fare la differenza, oggi, è la percezione dei cittadini sulle opportunità concrete di occupazione, sicurezza lavorativa e qualità dei servizi. A raccontarlo con dati alla mano è il nuovo rapporto “L’Italia e la sua reputazione: le città”, curato da Italiadecide e Intesa Sanpaolo. Il report, frutto di una web survey nazionale su dieci città italiane, analizza come viene costruita la reputazione urbana a partire da cinque dimensioni chiave. Tra queste, i “valori economici” giocano un ruolo centrale, e al loro interno la percezione del lavoro è determinante: non solo la quantità, ma anche la qualità e la stabilità dell’occupazione, l’accessibilità a professioni coerenti con le competenze e la possibilità di costruire un futuro.

Lavoro, ma per chi? Il tema generazionale e territoriale

Uno degli aspetti più interessanti che emergono dalla ricerca è che la reputazione del lavoro è un dato profondamente territoriale. Milano, ad esempio, mantiene una forte attrattività come centro economico, ma viene penalizzata da una percezione negativa legata al costo della vita e alla competizione estrema per accedere a lavori di qualità. Roma soffre invece di una carenza di opportunità concrete, nonostante la sua dimensione metropolitana e il potenziale del terziario pubblico.

Al contrario, città come Bologna e Bergamo registrano una reputazione positiva proprio per la capacità di coniugare dinamismo economico e accessibilità occupazionale, in contesti urbani percepiti come più vivibili, verdi, con servizi più a misura di cittadino. Il report evidenzia anche una forte componente generazionale: i giovani sono più critici verso il mercato del lavoro, spesso percepito come inaccessibile o precario, anche nelle città dove le opportunità esistono. Questo gap tra disponibilità e accessibilità è un elemento cruciale per le politiche urbane future.

Reputazione e lavoro: un asset strategico per le città

Il lavoro, insomma, è molto più di un indicatore economico: è una leva di fiducia, un motore di senso e stabilità che incide sulla reputazione urbana quanto – se non più – di cultura, turismo o infrastrutture. Le città che offrono lavoro “buono”, equo, stabile e valorizzante guadagnano capitale reputazionale, e attirano investimenti, talenti e famiglie. Non a caso, nel modello elaborato dal report, la percezione dell’offerta di lavoro si intreccia con altre dimensioni come la sicurezza sociale, la qualità dell’ambiente urbano e la solidità dei servizi pubblici. In particolare, le donne e le fasce più fragili della popolazione risultano più sensibili al binomio “occupazione e sicurezza sociale, rendendo evidente quanto l’inclusività lavorativa sia oggi una misura concreta della reputazione di una città.

La sfida che il rapporto lancia è netta: serve un cambio di paradigma nelle politiche urbane, che metta al centro non solo il lavoro in sé, ma la possibilità percepita di costruire una vita dignitosa e sostenibile attraverso il lavoro. E questo richiede visione, ascolto, governance multilivello e soprattutto investimenti coerenti. Se vogliamo città che trattengano i giovani, attraggano innovazione e riducano le diseguaglianze, non basta più costruire grattacieli o quartieri business. Occorre costruire ecosistemi urbani del lavoro, dove le opportunità non siano privilegio di pochi ma diritto di molti.