Diciotto scimmie sono state infettate da un ceppo di coronavirus nel tentativo di trovare una soluzione per l’epidemia partita da Wuhan. Come riportato su varie testate anglosassoni, i macachi rhesus (o mulatti) sono stati esposti alla sindrome respiratoria MERS-CoV (coronavirus correlato alla sindrome respiratoria del Medio Oriente che ha infettato quasi 80mila persone in tutto il mondo, uccidendone 2.600), un ceppo che può causare tosse, mancanza di respiro, febbre e insufficienza multiorgano.

Gli scienziati del National Institutes of Health (NIH) degli Stati Uniti hanno scoperto che un vaccino sperimentale e usato per la prima volta per l’ebola, chiamato remdesivir, si è dimostrato efficace nel trattamento degli animali infetti. I macachi sono stati sotto osservazione per sei giorni e si è riscontrato che chi è stato trattato con il remdesivir prima dell’infezione non ha mostrato alcun sintomo. Da sottolineare, inoltre, che ogni scimmia è stata eutanizzata e necrotizzata sei giorni dopo l’inoculazione del virus e del vaccino.

Nel dettaglio, come riportato sul Daily Mail, gli scienziati hanno osservato che nelle sei scimmie usate per il controllo – ovvero a cui non è stato somministrato il vaccino – c’è stato un appetito ridotto e il pelo arruffato, nonché un aumento della respirazione, tutti sintomi dell’infezione. Al contrario di altre sei scimmie a cui, come detto, è stato somministrato il remdesivir. Infine, ai restanti sei macachi è stato somministrato un antivirale dodici ore dopo essere stati infettati e hanno mostrato sì alcuni segni della malattia ma in maniera inferiore rispetto al gruppo di controllo.

Lo studio ha concluso così: «I nostri risultati potrebbero indicare l’utilità del remdesivir contro il nuovo coronavirus 2019-nCoV emerso da Wuhan»

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