C’è voluto il Tar per restituire al Capitano Ultimo, l’ufficiale dei Carabinieri che 25 anni fa arrestò Totò Riina, la scorta. Gli era stata revocata il 3 settembre scorso, proprio nel giorno dell’anniversario della morte del generale Dalla Chiesa.
La decisione è del Tar del Lazio che ha accolto in via d’urgenza il ricorso del colonnello Sergio De Caprio, per tutti
Ultimo, contro il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Roma, che si sono costituiti in giudizio. La questione verrà
discussa nel merito tra sei mesi, l’11 giugno, ma nel frattempo l’ufficiale tornerà ad avere il servizio di ‘tutelà di cui
godeva, costituito da un carabiniere su un’auto non blindata.
Secondo i giudici amministrativi in questa fase “si ravvisano i presupposti per l’accoglimento dell’istanza cautelare,
dovendosi assegnare preminenza, allo stato, nel bilanciamento degli opposti interessi, al mantenimento del dispositivo di tutela in favore” del Capitano Ultimo, “nelle more della decisione sul merito del ricorso”.
Il Tar ha quindi sospeso l’efficacia di tutti gli atti riguardanti la revoca della scorta, compreso il rigetto della richiesta di De Caprio al prefetto di Roma di poter accedere ai documenti riguardanti il procedimento: atti che ora dovranno essergli consegnati.
“Oggi con coraggio il Tar di Roma ha arginato l’illegittima prevaricazione che alcuni funzionari della sicurezza pubblica hanno esercitato contro il diritto alla vita, alla sicurezza ed alla difesa di un cittadino e di un carabiniere. I giudici hanno ritenuto finalmente che l’uomo e la sua sicurezza prevalgono sulla burocrazia”, è il commento di Ultimo all’ANSA.
“Verso tutti quelli che in questa vicenda, pur avendone la possibilità, non hanno fatto e non fanno nulla, va il massimo disprezzo dell’uomo e del carabiniere”, aggiunge. Parole che in serata hanno provocato la reazione del Comando generale dell’Arma che, “pur avendo sempre considerato le richieste di tutela da parte dell’Ufficiale noto come Capitano Ultimo e nel doveroso rispetto del pronunciamento cautelare giurisdizionale, stigmatizza il tenore delle dichiarazioni a lui attribuite, lesive del prestigio di appartenenti a pubbliche Istituzioni”.
Proprio ieri la questione della scorta di Ultimo era tornata alla ribalta: a ridosso della casa famiglia fondata dal
colonnello e gestita da un’associazione di volontari, alla periferia di Roma, è stata infatti incendiata un’autovettura rubata. Secondo alcuni si è trattato di un avvertimento, considerate le numerose minacce ricevute da De Caprio negli anni da parte di Cosa Nostra.
E così tanti sostenitori di Ultimo, e parte della politica, sono tornati immediatamente a chiedere, sul web e in Parlamento, che gli venisse riassegnato il dispositivo di protezione. A loro avviso non è vero, come stabilito dall’Ucis, l’Ufficio centrale interforze per la sicurezza personale, che la scorta ad Ultimo non serve per “mancanza di segnali di concreto pericolo”.
Il pericolo invece sarebbe concreto ed attuale perché – nonostante De Caprio sia transitato dal Ros al Noe, ai Servizi,
ed ora si occupi “di orchidee”, come lui stesso dice, al Reparto biodiversità e parchi dei Carabinieri forestali – “Cosa Nostra non dimentica”.
Un riferimento che riguarda soprattutto quanto riferito anni fa in tribunale dal pentito Gioacchino La Barbera,
il quale disse che Leoluca Bagarella – killer spietato di Cosa Nostra, vivo e vegeto sebbene al carcere duro – aveva offerto un miliardo di lire a un informatore per sapere dove alloggiava Ultimo.
“E’ umiliante che sia il Tar a dover decidere sulla scorta di Ultimo: era una misura elementare per l’ufficiale che la mafia vuole morto”, commenta Forza Italia con Giorgio Mulé, portavoce dei gruppi azzurri di Camera e Senato. «Il Tar fa fare una pessima figura al Governo”, dice Fabio Rampelli di Fratelli d’Italia.
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