Oggi, 27 giugno, la Corte di Cassazione ha pubblicato una relazione di 129 pagine che rappresenta una severa bocciatura del Decreto Sicurezza, il provvedimento-bandiera del governo guidato da Giorgia Meloni, convertito in legge il 9 giugno 2025 (Legge 80/2025).
L’Ufficio del Massimario, incaricato di analizzare le nuove normative, ha messo in luce numerose criticità costituzionali e tecnico-procedurali, sollevando dubbi sulla legittimità del decreto e aprendo la strada a possibili interventi della Corte Costituzionale. Il documento, pur non vincolante, ha un peso giuridico significativo e alimenta il dibattito.
Un metodo contestato: la decretazione d’urgenza
La Cassazione punta il dito innanzitutto sul metodo adottato dal governo. Il Decreto Sicurezza, approvato l’11 aprile scorso, riprende “quasi alla lettera” un disegno di legge già in discussione in Parlamento, approvato dalla Camera il 18 settembre 2024 e trasmesso al Senato. La scelta di trasformarlo in un decreto-legge, secondo i giudici, manca dei requisiti di “straordinaria necessità e urgenza” richiesti dalla Costituzione. “Non c’è stato, per unanime giudizio dei giuristi finora espressisi, alcun fatto nuovo configurabile come casi straordinari di necessità e urgenza”, si legge nella relazione. Questo passaggio, motivato dal governo con l’esigenza di “evitare ulteriori dilazioni al Senato”, è considerato una “apodittica enunciazione” che non giustifica l’uso dello strumento d’urgenza.
L’accelerazione dei tempi di discussione ha comportato, secondo la Corte, “una contrazione della possibilità di apportare emendamenti” e una “compressione del pieno dispiegarsi di quei tempi e modi di dibattito” propri della funzione legislativa, specialmente in materie sensibili come i diritti di libertà e la materia penale, coperte da riserva di legge.
Eterogeneità: un “minestrone” normativo
Un altro punto critico evidenziato dalla Cassazione è l’eterogeneità del provvedimento. Il Decreto Sicurezza spazia da temi come il terrorismo e la criminalità organizzata a questioni come la cannabis light, la sicurezza urbana, le norme penitenziarie e le strutture per migranti. Questa “estrema disomogeneità” è vista come un ulteriore vizio di legittimità costituzionale, poiché un decreto-legge dovrebbe affrontare questioni omogenee e connesse. La Corte sottolinea che l’ampiezza e la diversità delle materie trattate rendono il testo incoerente, minando la sua compatibilità con i principi costituzionali.
Sanzioni sproporzionate e libertà a rischio
Nel merito, la relazione della Cassazione identifica ben 33 passaggi problematici, con particolare attenzione alle sanzioni sproporzionate e al rischio di violazioni dei principi di proporzionalità, offensività e uguaglianza. Le nuove norme penali, che introducono 14 reati e 9 aggravanti, sono accusate di incidere profondamente sulla libertà personale senza un’adeguata giustificazione. Ad esempio, le aggravanti di luogo per reati commessi “nelle immediate adiacenze” di stazioni ferroviarie o metropolitane sono criticate per la loro vaghezza, che potrebbe generare “incertezze interpretative e disparità di trattamento”. La Procura di Foggia ha già chiesto l’intervento della Corte Costituzionale su questa norma, ritenuta priva di un chiaro nesso con il principio di offensività.
Un altro punto controverso è la criminalizzazione della resistenza passiva e delle manifestazioni di dissenso. Le norme che puniscono comportamenti come i blocchi di protesta pacifici o i blocchi stradali sono considerate eccessivamente repressive, con il rischio di comprimere la libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) e di riunione (art. 17 Cost.). La Corte evidenzia che tali misure potrebbero colpire “comportamenti spesso costituiti da riunioni pacifiche”, limitando il diritto di espressione.
Detenute madri e “diritto penale d’autore”
Preoccupazioni particolari sono state espresse sulle norme che consentono il carcere per le detenute madri con figli piccoli, definite una “patente violazione dei principi costituzionali di tutela della maternità e dell’infanzia”. La Cassazione critica il ricorso al cosiddetto “diritto penale d’autore”, che punisce le persone in base al loro status sociale piuttosto che alle condotte specifiche, violando il principio di uguaglianza.
Lo “scudo” agli agenti segreti: un inedito pericoloso
Una delle critiche più dure riguarda la norma che concede l’impunità agli agenti dei servizi segreti che dirigono o organizzano associazioni terroristiche a fini investigativi. La Cassazione la definisce “un assoluto inedito nel panorama penalistico”, sottolineando che si tratta di una misura “sproporzionata, se non addirittura disfunzionale” rispetto agli obiettivi di antiterrorismo. La norma, che supera la tradizionale possibilità di infiltrazione, solleva “dubbi di illegittimità costituzionale” per il rischio di abusi e la mancanza di controlli democratici, richiamando le denunce dei familiari delle vittime delle stragi che l’hanno definita una “licenza criminale”.
Il divieto di cannabis light: libertà economiche a rischio
Infine, la relazione della Cassazione critica anche il divieto totale della cannabis light, che rende illegali la lavorazione e il commercio delle infiorescenze di canapa, indipendentemente dal contenuto di THC. In assenza di prove scientifiche sugli effetti psicotropi, questa misura potrebbe violare il principio di libertà dell’iniziativa economica privata, danneggiando un settore che coinvolge migliaia di imprese e lavoratori.






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