Si aggirerebbero intorno ai 20.000 euro mensili gli introiti di una presunta banda che sarebbe stata dedita al commercio di cuccioli di cani proveniente dall’est Europa.

Questo secondo le indagini condotte dal Comando Provinciale dei Carabinieri di Cuneo congiuntamente al Nucleo Investigativo di Polizia Ambientale e Forestale (N.I.P.A.F.) del Comando Gruppo Carabinieri Forestale di Cuneo.

Il sospetto degli inquirenti è su una possibile associazione per delinquere che si sarebbe articolata in più regioni italiane dedicandosi a quello che gli stessi Carabinieri definiscono un lucroso business realtivo alla vendita di cani introdotti dall’est europeo.

Un fenomeno, quello del traffico internazionale di cuccioli, che risulterebbe ancora fiorente in via generale a causa dei lauti guadagni ottenibili ed ai rischi relativamente contenuti per gli autori. Di rilevo quanto riferito dall’Arma dei Carabinieri in merito alle contestazioni dei reati  da parte delle forze di polizia: singoli eventi criminosi e più difficilmente il reato associativo o il reiterato traffico illecito.

Un argomento, questo, più volte sollevato da talune associazioni di protezione animali che hanno messo in rilievo come la legge approvata nel 2010 (cosiddetta “legge cuccioli”) si presenterebbe ad armi smussate.

Relativamente ai fatti ora resi noti i cuccioli sarebbero stati ordinati ad un soggetto friulano che risulterebbe titolare di un allevamento in Ungheria. Lo stesso sarebbe in contatto con “pseudo fornitori” in Grecia, Spagna, Polonia ed altri paesi europei. I cani, riferiscono sempre i Carabinieri, venivano nascoste nei bagagliai delle auto per “affrontare lunghi ed estenuanti viaggi”. Tali trasferimenti sarebbero stati privi della documentazione di accompagnamento e dei trattamenti sanitari e vaccinali prescritti dalle norme comunitarie e nazionali. Da verificare, invece, la tratta via mare per il trasferimento di alcune partite di cuccioli.

I cani sarebbero stati sistematicamente sottratti alle cure parentali in tenerissima età, ovvero al di sotto delle 12 settimane previste dai regolamenti. In tale maniera poteva così accadere che gli animali, già debilitati dai trasferimenti, si ammalassero. Le indagini infatti hanno preso il via a partire dalle denunce di alcuni acquirenti finali che, dopo l’acquisto, hanno lamentato le cattive condizioni di salute dei cani.

I cagnolini, appartenenti a diverse razze, una volta giunti sul suolo nazionale, sarebbero stati immunizzati con vaccinazioni “fai da te” grazie alla compiacenza di medici veterinari. L’”italianizzazione” dei cani sarebbe stata completata fornendo falsi libretti sanitari ed inoculando i microchip identificativi come se fossero nati direttamente in Italia.

Gli ignari acquirenti sarebbero stati attirati sul web dai prezzi concorrenziali per animali di razza e con l’assicurazione che i cuccioli fossero nati presso allevamenti italiani e da genitori certi. Sempre i Carabinieri riferiscono di falsi nomi di riferimento, false fotografie dei cani, false partite iva, talora false indicazioni sulla razza e utenze telefoniche intestate a terzi, senza il consenso dei medesimi ed al fine di essere più difficilmente individuabili.

In aggiunta a ciò i venditori avrebbero fatto credere agli acquirenti di essere lontani da loro anche quando non lo erano. Lo scopo sarebbe stato quello di potere ricusare ogni richiesta di visita preliminare alla vendita oltre a quello di potere chiedere loro le spese di trasporto fino al domicilio o al luogo concordato. La frode in commercio, infatti, figura tra le ipotesi di reato individuate dagli inquirenti.

Le altre imputazioni di reato ipotizzate dalla Procura sono: associazione per delinquere dedita al traffico internazionale clandestino di cuccioli; il più recente reato di auto riciclaggio, per la prima volta ipotizzato per questo genere di attività delittuose, considerato l’impiego in attività economiche di beni provenienti da altro delitto opportunamente occultato; abusivo esercizio della professione medico-veterinaria; sostituzione di persona, posta in essere da alcuni indagati per sfuggire ai controlli; svariati falsi per “aggiustare” le documentazioni di accompagnamento.
Dal presunto acquisto clandestino di animali dall’estero a basso costo sarebbe inoltre derivato lo sfalsamento del mercato ed una concorrenza sleale agli operatori commerciali in regola tanto. Le prime stime riporterebbero un guadagno illecito intorno ai 20.000 euro al mese.

L’attività degli investigatori è iniziata all’incirca un anno addietro ma è con le intercettazioni telefoniche ed ambientali disposte a partire dal mese di novembre 2016 che si è dato il maggiore impulso all’attività investigativa.

I necessari elementi che hanno dato corpo alle indagini sono stati poi reperiti nel corso delle recenti perquisizioni e sequestri eseguiti in 12 province italiane (Bologna, Como, Cuneo, Gorizia, Lecce, Padova, Perugia, Pisa, Pistoia, Ravenna, Torino e Venezia) presso 21 obiettivi fra private abitazioni, allevamenti, negozi animali e cliniche veterinarie.

Oltre al personale del Nucleo investigativo di Polizia Ambientale (N.I.P.A.F.) di Cuneo, sono stati coinvolti nelle indagini i Carabinieri Forestali delle province interessate, del Nucleo investigativo centrale per i reati in danno agli animali (N.I.R.D.A.) e, per la provincia di Gorizia, anche da personale della sezione di Polizia Giudiziaria dell’Arma dei Carabinieri.

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