Per diagnosticare e trattare una malattia infettiva è necessario conoscere il comportamento dell’agente infettivo all’interno del corpo e il danno che provoca. Ebbene, dall’inizio della pandemia di Covid-19, sono stati condotti diversi studi sulle scimmie e i risultati ottenuti non sono coerenti.
Come riportato su Futura-Sciences.com, infatti, in alcuni esperimenti è stato riscontrato un danno polmonare, in altri un edema e anche un’infiammazione dell’alveolo. Inoltre, come accade negli esseri umani, l’infezione non ha mostrato segni clinici gravi.
In un recente studio pubblicato su The Journal of Infectious Disease, i ricercatori hanno sviluppato un metodo sperimentale per studiare le interazioni tra il SARS-CoV-2 e il sistema immunitario.
I ricercatori hanno avuto bisogno di 16 scimmie, maschi e femmine. Hanno scelto diverse specie con variabilità genetica e immunologica così da imitare la variabilità che esiste tra noi umani. Inoltre, gli scienziati hanno anche variato la dose dell’inoculo infettivo e le membrane mucose attraverso le quali il SARS-CoV-2 è entrato nel corpo (trachea, bocca, occhi, narici, endovenosa). Infine, il virus inoculato proveniva da un paziente coreano infettato dal nuovo coronavirus.
Successivamente, gli studiosi hanno analizzato diverse variabili: analisi del sangue, segni clinici, analisi del comportamento tramite le misurazioni locomotorie e analisi dei tessuti e della risposta immunitaria. La maggior parte degli animali si è sentita stanca e febbricitante come la maggior parte degli esseri umani infettati dal SARS-CoV-2. Sono stati osservati pochi cambiamenti nel peso e nella frequenza respiratoria. E non ha sorpreso che il sito preferito del virus per replicarsi sia stato il tratto respiratorio.
Negli esami post mortem, gli studiosi hanno riscontrato danni ai polmoni associati a segni di polmonite interstiziale. In tutti gli animali, i ricercatori hanno anche riscontrato endotelite e linfopenia transitoria. A causa della somiglianza tra il sistema immunitario umano e quello delle scimmie, gli autori suggeriscono che il loro modello sperimentale possa essere adatto anche per studiare le interazioni tra il SARS-CoV-2 e il nostro sistema immunitario. E suggeriscono che potrebbe essere utilizzato per convalidare l’effetto degli immunomodulatori in combinazione con gli approcci terapeutici per migliorare la linfopenia osservata.