La Cassazione ha confermato la condanna a un anno e dieci mesi di reclusione per Fabrizio Corona, ex paparazzo, per concorso in tentato furto in un appartamento della capitale, in complicità con Nunzio Di Caprio, ex carabiniere sospeso dal servizio.

Il verdetto è stato depositato ieri, lunedì 16 gennaio, dalla Quinta sezione penale della Suprema Corte e si riferisce all’udienza che si è svolta lo scorso 9 novembre.

Il furto “è stato tentato in collaborazione con altre due persone, un ‘basista’, cognato” di uno dei coniugi residenti dell’appartamento preso di mira, e Alessandro P., giudicato separatamente.

Corona e Di Caprio, “sono stati bloccati dalla polizia giudiziaria, prima di introdursi nell’appartamento obiettivo del piano criminoso, grazie alle intercettazioni telefoniche che erano in corso su una delle utenze cellulari di Alessandro P.”, si legge nel verdetto.

Il ‘colpo’ era stato sventato perché un capitano dei carabinieri “si era posto al piano superiore rispetto a quello dove si trovava l’appartamento ‘bersaglio’, proprio per monitorarne gli sviluppi e ha sentito i rumori metallici provenire dalla porta dell’abitazione, allertando a quel punto i colleghi di supporto via radio”.

“Ed è stato in quel momento – continua la sentenza della Cassazione – che Corona e Di Caprio, allarmati probabilmente dal rumore, benchè minimo, hanno deciso di interrompere l’azione criminosa”.

La difesa dei due imputati ha sostenuto “la volontaria, libera scelta di desistere dal reato” perché si erano resi conto “di non avere gli strumenti adatti ad aprire la porta dell’appartamento ed hanno deciso di interrompere la loro azione” e pertanto “sarebbe al più ipotizzabile” il meno grave reato di “violazione di domicilio”.

La Cassazione ha, però, confermato le condanne per concorso in tentato furto emesse dalla Corte di Appello di Roma il 10 ottobre 2019, ritenendo che non c’è stata ‘desistenza’ volontaria e che il tentativo di rubare nell’appartamento è stato interrotto “dalla polizia giudiziaria”. Il ricorso delle difese è stato dichiarato inammissibile, con condanna a versare tremila euro alla Cassa delle ammende.

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