• Si è conclusa a Roma la mostra “Archaeology Now” di Damien Hirst
  • Oltre 80 opere esposte alla Galleria Borghese
  • Successo per l’esposizione che ha accostato antico e moderno

Cos’hanno in comune Damien Hirst e il Cardinale Scipione Borghese? Nato nel cuore industriale dell’Inghilterra degli anni 60 il primo, cresciuto tra gli sfarzi della Roma barocca del primo Seicento il secondo, genio dell’arte e della comunicazione uno, uomo di chiesa controverso e senza scrupoli l’altro, non potrebbero che sembrare due figure agli antipodi.

La passione per il collezionismo

Eppure a unirli è una passione tanto bramosa da diventare quasi ossessione, quella del collezionismo, che oggi ha portato i loro nomi ad essere accostati per la prima volta.

La mostra “Archaeology Now”

Si è infatti appena conclusa alla Galleria Borghese la mostra “Archaeology Now”, che ha visto 80 opere della serie Treasures from the Wreck of the Unbelievable (già viste nella colossale mostra a Venezia del 2017) in dialogo con i capolavori collezionati voracemente dal Cardinale, che servendosi del suo potere e della sua ricchezza, ricorse spesso a mosse politiche spregiudicate e gesti scorretti (quello più eclatante fu l’ordine di trafugare dalla chiesa di San Francesco, a Perugia, la pala Baglioni dipinta da Raffaello) pur di creare una collezione che ancora oggi è difficile da superare per quantità e qualità.

La storia della serie di Hirst

La storia della serie di Hirst è invece ben nota. Quattro anni fa, a conclusione di un progetto finanziato da Pinault e tenuto segreto per ben dieci anni, in un docu-film sospeso tra finzione e realtà l’artista racconta il ritrovamento da parte di un team di scienziati di un vascello inabissatosi tra il I e il II secolo al largo delle coste dell’Africa orientale, con la conseguente scoperte di un immenso tesoro appartenuto al liberto originario di Antiochia Cif Amotan II.

Le opere in mostra

Statue monumentali e piccole sculture recanti ancora i segni dei secoli trascorsi tra gli abissi, in preziosi materiali che vanno dai coralli all’oro e all’argento, dai bronzi ai lapislazzuli e alla malachite, sono stati dunque esposti in un gioco di mimesi e contrasti accanto ai capolavori di Bernini, Caravaggio, Canova e molti altri, grazie a un’idea dell’ex potente direttore della Galleria Borghese Anna Coliva.

Un incontro felice tra passato e presente

Un accostamento, quello tra il contemporaneo e l’antico, che molte volte nel corso della storia espositiva è risultato fuori luogo, troppo “commerciale” se non semplicemente banale, ma che invece a questo giro è riuscito a porsi come un incontro felice tra passato e presente, una risposta al desiderio del Cardinale Borghese di creare una raccolta multiforme, in grado di superare le categorie non solo tra le arti, ma tra realtà e illusione.
Rimandi che non risultano mai scontati, ma che anzi hanno ripreso la modernità e l’audacia di Borghese, che aveva sfidato il gusto e la morale del tempo accostando alle importanti opere di statuaria romana i contemporanei più scandalosi come Caravaggio, da tanti poco apprezzato per il suo stile considerato troppo realistico.

Opere accostate in modo profano e geniale

Nello stesso modo oggi, tre teste meravigliosamente mozzate di Medusa vengono profanamente ma genialmente posizionate sotto l’opera caravaggesca La Madonna della Serpe, dove Maria e il bambino schiacciano insieme il serpente del peccato originale, un’ Arciera di bronzo ricoperta di coralli, muschi e licheni, punta la sua freccia verso una volta affrescata che racconta il mito di Amore e Psiche e una statua le cui sembianze sono a metà strada tra Mussolini e Damien Hirst stesso, incarna ironicamente la figura senza tempo del Collezionista con la sua serialità maniacale, tra antichi racconti di sfide a colpi di wunderkammer e l’ossessione odierna scatenata da aste e gallerie che rischiano di ridurre le opere a un mero business.

Guardare il mondo antico per scoprirne la modernità

L’impressione finale è che proprio attraverso il confronto col nuovo si riesca scoprire una nuova ottica per guardare all’antico e scoprirne tracce di grande modernità. Come dice Hirst: “Abbiamo bisogno del passato. Crediamo nel passato perché credere nel presente è più difficile, anche se ci tocca. L’idea che c’è dietro la serie di sculture e oggetti di ‘Treasures from the Wreck of the Unbelievable’ è proprio quella di rubare al passato per creare un nuovo presente, fondare l’illusione di una verità con una nuova mitologia”.

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