Cos’è l’inflazione? A cosa è dovuta? E quanto dobbiamo preoccuparci? Per comprendere con semplicità cosa sia l’inflazione e quanto dobbiamo preoccuparci nella nostra vita reale dobbiamo porci tre importanti quesiti che meritano la massima attenzione.

Cosa è l’inflazione

L’inflazione è l’aumento generalizzato dei prezzi di beni e servizi scambiati sui mercati.
Ma a cosa è dovuta l’inflazione che stiamo vivendo? Daremo uno sguardo alla storia per confrontare la situazione attuale con quella degli anni 70-80 ma con riguardo alla situazione attuale vale la pena ricordare che gli effetti inflativi erano presenti ben prima dell’invasione dell’Ucraina. Per cui seppur significativo, l’impatto dell‘aumento del prezzo del gas potrebbe essere marginale rispetto ai livelli di inflazione attuali. A confermare questa tesi basta ricordare i dati dell’inflazione in Svizzera (dove si attesta al 3.5%, notevolmente inferiore a quella che vediamo in tutta l’eurozona).

Il decennio di tassi reali negativi che ci lasciamo alle spalle e i debiti accumulati a causa dei bassi tassi concessi dai mercati potrebbe non aver determinato inflazione durante la presidenza Draghi soltanto grazie alla credibilità dell’uomo e alle sue parole; si era infatti previsto che l’iniezione di liquidità sarebbe stata riassorbita in futuro ma tale annuncio non fu mai seguito da azioni, cambiando presidenza della Banca Centrale, e con la crisi che abbiamo vissuto negli ultimi anni, la politica monetaria della BCE ha continuato ad essere espansiva.

L’espansione del Q.E. e quella dovuta alla crisi covid potrebbero avere influito nel generare questa inflazione.

Circostanze simili osserviamo in America dove è emersa letteratura ^1 sull’impatto dei sussidi dovuti alla crisi pandemica. Lo stimolo CARES infatti garantisca un pagamento settimanale di 600$ una aggiunta a qualsiasi indennità di disoccupazione della quale si era già beneficiari, stimolando i consumi.
Questo sommato alla riduzione dell’offerta dovuta alle restrizioni sulla mobilità di merci e persone che abbiamo vissuto ha consentito al cittadino americano di risparmiare, rimandando i consumi che gli erano impossibili al momento. Tale accumulo di denaro una volta dato il “liberi tutti” ha fatto si che la domanda ritornasse ai livelli pre covid in un economia con una produzione radicalmente colpita dalle regole che nel frattempo avevamo imposto. Si pensi alla chiusura della fabbrica del mondo: la Cina.

A cosa è dovuta l’inflazione?

Quello che accade quando la domanda è superiore all’offerta è un aumento del prezzo. L’impatto di questa riduzione di offerta viene spesso trascurato nel dibattito circa questi temi.
Ricordiamo che l’America risente meno di noi europei della crisi ucraina ma sperimenta e ha sperimentato prima di noi elevati tassi di inflazione. Parte di questa inflazione potrebbe trovare origine nelle modalità di spesa dello stimolo monetario. In America in sussidi probabilmente sono stati troppo elevati ed eccessivamente generalizzati. E in Europa?
In Europa si è deciso di emettere eurobond tramite i programmi NextGenerationEU e SURE.
Mentre quest’ultimo è destinato a supportare gli schemi nazionali di disoccupazione, ha emesso i propri titoli ed iniziato i trasferimenti agli Stati Membri, il NGEU prevede la stesura dei PNRR con linee guida comuni come l’economia verde e digitale, i giovani, l’istruzione, e la ricerca.
La massa di trasferimenti ai lavoratori è stata decisamente inferiore che negli Stati Uniti ma la quantità di bonus e sussidi elargiti indiscriminatamente ha fatto si che già nel 2021 si registrassero livelli di inflazione elevati in settori specifici come le costruzioni, per non parlare del finanziamento di spesa corrente tramite i fondi del PNRR.
SI può dunque dire che una parte dell’inflazione odierna è dovuta alla maniera in cui si è speso lo stimolo monetario concesso dalle banche centrali. Questo stimolo monetario  non ha fatto altro che alimentare la domanda quando l’offerta era strozzata dalle norme imposte.

Quanto dobbiamo preoccuparci per l’inflazione?

Come accennato sopra, il caso scuola quando si parla di inflazione è la situazione determinatasi dopo il 73’: lo shock petrolifero che determinò un decennio e più di elevati tassi di inflazione in America, e anche in alcuni stati d’Europa.
Avvenne all’epoca ciò che viene definito un cambio di prezzi relativi, il petrolio era passato nel giro di pochi mesi dal prezzo di 3 fino a 10 dollari al barile.
Nel giorno della ricorrenza ebraica del Kippur, Egitto e Siria attaccarono Israele; i paesi OPEC decisero di sostenere l’azione tramite aumenti del prezzo al barile e misure di embargo nei confronti dei paesi maggiormente filo-israeliani.
Era cambiato il prezzo di un solo bene relativamente a quello di tutti gli altri ma dato il ruolo che il greggio ricopriva nella nostra economia determinò forti ripercussioni sulla struttura della produzione. Fu necessario riorganizzare i sistemi produttivi per contenere i costi o fronteggiare la riduzione delle disponibilità di petrolio. La scarsa comprensione dei meccanismi che alimentano l’inflazione fece sì che si innescasse un processo che oggi dovremmo comprendere: quando si deve determinare il prezzo di qualcosa è naturale cercare di determinarne prima i costi. Nel caso i costi salgano allora i prezzi saliranno. Intuizione banale ma cruciale per quello che stiamo vivendo.

Ad un cambio di prezzi relativi segue un aggiustamento nei consumi, se sussidi la domanda del bene relativamente più caro, nel disperato tentativo di non far soffrire i consumatori del suo aumento di prezzo, non fai altro che alimentare l’inflazione.

Per quanto suggestivo il parallelismo dalla situazione che viviamo al momento, con un conflitto in corso e l’aumento del prezzo di un asset energetico, analogo ragionamento si può applicare ai sussidi Covid: ad uno shock di offerta, logistica, restrizioni, si è risposto stimolando la domanda.

L’inflazione degli anni 70

Negli anni 70, il livello di inflazione elevato e permanente fece si che da un’aspettativa di bassa inflazione, ragionevole dato il recente passato, si passasse ad attendersi il livello corrente di inflazione anche per il periodo successivo, così i lavoratori (soprattutto quelli a reddito più basso) iniziarono a domandare aumenti di stipendio, aumentando una componente dei costi, e riflettendo questo aumento sull’inflazione al periodo successivo.
Questo processo appena descritto data la sua circolarità viene chiamato spirale prezzi-salari ed è difficilmente gestibile una volta messo in moto.

Il ruolo della banca centrale

La Fed, a differenza della BCE, ha due mandati, stabilità dei prezzi e mantenimento del massimo livello di occupazione possibile, e trovandosi a fronteggiare un’aumento del prezzo relativo del greggio si accorse che tale istanza era fuori dal controllo della politica monetaria, ma cosi non era per la crescente disoccupazione dovuta a tale aumento che invece appariva gestibile.
Fu cosi che tra tentativi delle varie amministrazioni di fermare l’aumento dei salari, e la sempre accomodante politica monetaria Fed che garantiva sostegno ad allegre politiche fiscali al fine di contenere la disoccupazione l’inflazione continuò persistente.

Dopo circa un decennio in cui la politica monetaria aveva preferito il secondo obbiettivo a quello inflazionistico, vi era aspettativa di un forte pregiudizio contro l’inflazione per la politica monetaria.
Quando nel 1979 Paul Volcker divenne presidente del Federal Reserve Board l’inflazione su base annua era intorno 11% mentre la disoccupazione era appena sotto 6%. Era generalmente accettato che la riduzione dell’inflazione richiedesse un attento controllo del tasso di crescita delle riserve e degli aggregati monetari.
All’inizio del 1980, Volcker disse: “La mia filosofia di base è che nel tempo non abbiamo altra scelta che affrontare la situazione inflazionistica perché nel tempo l’inflazione e il tasso di disoccupazione vanno di pari passo. … Non è questa la lezione degli anni ’70?” (Meltzer 2009, 1034).
L’economia usa entrò in recessione tra ’81 e ’82 con la disoccupazione segno il suo picco, quasi 11% ma l’inflazione continuava a scende fino ad un livello del 5% alla fine della recessione.
Quando l’impegno della Fed acquistò credibilità, anche la disoccupazione diminuì e l’economia entro in un periodo di crescita.

L’aumento dei tassi di interesse (che implica meno liquidità nel sistema) annunciato dalla Bce, oltre a limitare l’offerta di credito, cerca di essere un messaggio agli investitori che al momento ricevono un interesse negativo su quanto investito (se investo 100€ al tasso del 4% annuo con un inflazione al 10% annua, con buona approssimazione ho un rendimento negativo di -5.45%, non un buon affare).
Il messaggio potrebbe essere rafforzato dal comunicato in cui seppur non rinunciando ad un approccio data driven si è specificato che la Bce si aspetta di alzare ulteriormente i tassi per assicurare il ritorno dell’inflazione al 2%, target di medio termine.

Christine Lagarde, President of the ECB,
 Luis de Guindos, Vice-President of the ECB
Frankfurt am Main, 27 October 2022

‘We took today’s decision, and expect to raise interest rates further. To ensure the timely return of inflation to our two per cent medium-term inflation target. We will base the future policy on the evolving outlook for inflation and the economy, following our meeting-by.meeting approach’

From: https://www.ecb.europa.eu/press/pressconf/2022/html/ecb.is221027~358a06a35f.en.html

In macroeconomia, le unità temporali in cui è apprezzabile l’effetto delle policy sono i trimestri, se non oltre.

Una parola fondamentale per spiegare il ruolo del banchiere centrale è accountability, questa non trova un esatta traduzione in italiano seppur il termine abbia un origine latina. Si può tradurre come ‘disponibilità a rendere conto, con trasparenza’. Insomma il ruolo del Banchiere centrale richiede una certa credibilità, quanto visto sopra è un esempio di come la politica monetaria sia un’interazione ripetuta tra le BC e i mercati, in cui uno manda segnali e l’altro risponde.
É quindi lecito pensare che non si debba aumentare i tassi al punto da compensare l’inflazione odierna ma sperare di comprimere la domanda tramite la minore liquidità disponibile e segnalare l’intenzione di pagare rendimenti positivi così da evitare il disancoraggio delle aspettative e quindi la richiesta di tassi sempre più alti.

La lezione appresa dal periodo che seguì la crisi petrolifera sta proprio nella centralità delle aspettative nel processo che alimenta l’inflazione. È infatti chiaro oggi che la durata dell’inflazione e l’entità della risposta delle banche centrali furono dettate da un ritardo nell’intervento. E’ infatti credibile l’affermazione secondo cui qualora si fosse agito in tempo evitando che le aspettative schizzassero allora, si sarebbe potuto contenere quello che venne dopo.
Sta a noi oggi chiedersi qual’é, o era, il tempo giusto per agire in questa situazione.

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(ndr) L’autore di questo contenuto è studente di Economia e Finanza presso l’Università de Las Palmas di Gran Canaria

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