Non c’è nessun libro dei sogni per la politica italiana nel 2023. Si stringe la cinghia e si punta a salvare il salvabile in un contesto internazionale contrassegnato dall’inflazione a un passo da tracimare in recessione o, peggio ancora, in stagflazione.  Il passaggio della leadership da Mario Draghi a Giorgia Meloni segna una svolta nella storia del nostro Paese. Per la prima volta una donna è arrivata alla guida del governo della Nazione. E se nei primi mesi la Giorgia nazionale ha dovuto combattere e sgomitare per scrollarsi di dosso l’etichetta di sovranista e antieuropeista, l’anno che verrà presenta il conto di una serie di sfide strutturali per la tenuta del Paese.

2023, la prima missione è non fallire il Recovery Plan

Nell’agenda politica della Meloni, il primo punto da affrontare è sicuramente l’attuazione del Recovery Plan. Il rischio di perdere risorse europee è concreto. In uno scenario di recessione a livello globale, quei fondi rappresentano linfa vitale per interventi infrastrutturali non più rinviabili. Pena eventuale: il declino del Paese.

Attuare il Recovery Plan sarà un compito complesso. Il governo nazionale deve affrontare questa sfida tenendo presente la fragilità della nostra burocrazia, che sconta limiti di organico e si caratterizza per una debole capacità organizzativa, tecnica. Fattori che incidono sulla capacità di spesa della Pubblica amministrazione del Belpaese. Per la riuscita del piano europeo è necessario mettere in sincrono tutti i livello di governo del Paese, dal governo centrale sino al più piccolo comune italiano.  La sfida da vincere, quindi, è quella di tentare una razionalizzazione politica e amministrativa per tentare di semplificare al massimo il processo di spesa e di messa in opera. Qualcuno ha già messo le mani avanti e non si possono escludere ritardi nel raggiungimento dei target.  Extrema ratio è una possibile richiesta di proroghe e modifiche al piano: ma è una strada al buio, che provocherebbe attriti con la Commissione Europea, minando la credibilità e dello Stato italiano agli occhi dei partner europeo.

SOS Industria, i dossier da risolvere nel 2023

Altro nodo gordiano è rappresentato dalla politica industriale. I dossier sul tavolo del governo nazionale attraversano lo Stivale da Sud a Nord: Monte dei Paschi a Ita Airways, da Tim e Open Fiber alla Isab Lukoil di Priolo e Acciaierie Italia. In alcuni casi il Governo potrebbe tentare la strada del passaggio di controllo della proprietà. La verità è che non ci sono abbastanza soldi per affrontare tutte queste crisi. La cassaforte del Paese è la Cassa depositi e prestiti. Ma ha già speso troppo negli ultimi anni, a partire dalla vicenda Autostrade. Una nuova stagione dello Stato Imprenditore? La storia ci insegna che quando lo Stato si cimenta nei business, il disastro – con relativo cotè di inchieste giudiziarie- è dietro l’angolo. L’Italia non è nelle condizioni di gestire operazioni in perdita. Peggio ancora sarebbe far crollare il valore azionario di quelle aziende che oggi rappresentano la spina nel fianco della nostra politica industriale.  

New green deal sì, ma servono infrastrutture

Tra new green deal e caos nel settore energetico, sarebbe saggio che il paese si dotasse di infrastrutture in grado di attenuare la crisi. Servono i rigassificatori, servono hub e viadotti in grado di tradurre in atti concreti l’obiettivo della diversificazione dell’approvviggionamento energetico. Anche in questo caso le regole del gioco potrebbero rallentare qualsiasi scelta del governo nazionale: in Italia, si sa, la politica locale svolge una funzione di veto spesso necessaria ma a volte intollerabile quanto esagerata.

L’Italia nel contesto internazionale, la fine del vaso di coccio?

L’Italia dovrà anche fare i conti con le incertezze del contesto internazionale: la prolungata crisi energetica, il vento del protezionismo statunitense che si sostanzia attraverso dazi e aiuti di Stato alle imprese, sono tutti fattori esiziali da sommare al costante rialzo dei tassi d’interesse da parte della Bce. Il combinato disposto di questi fondamentali economici e geopolitici potrebbe creare difficoltà al governo nella gestione delle finanze dalla metà del prossimo anno. Siamo il Paese con il maggior debito pubblico e il rischio di una fiammata dello spread, ovvero del differenziale di valore tra i nostri titoli di Stato e quelli tedeschi, è un lusso che non possiamo permetterci. Una fattispecie di questo tenore costringerebbe il governo a una politica economica dura e restrittiva: taglio della spesa pubblica e  aumento delle tasse. Un incubo per la premier Meloni.

L’autonomia differenziata rischia di spaccare il paese

Fuori sacco, infine, una doverosa riflessione sul principio dell’Autonomia differenziata. Le regioni del Nord Est la reclamano a gran voce perché stanche – a detta loro- di foraggiare un Sud spendaccione e pelandrone. E’ grave che nel 2023 qualcuno dimentichi la lezione di Gaetano Salvemini. Questo Paese, o si salva tutto, o non si salva.

 

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