Oggi, lunedì 12 maggio, il gruppo palestinese Hamas ha annunciato la liberazione di Edan Alexander, un soldato israelo-americano tenuto in ostaggio nella Striscia di Gaza per oltre 19 mesi.
Secondo quanto riportato dai media palestinesi, Alexander è stato consegnato alla Croce Rossa a Khan Younis, nel sud della Striscia, in quello che Hamas ha definito un “gesto di buona volontà” per rilanciare i negoziati volti a porre fine alla guerra. Un funzionario israeliano, parlando in anonimato, ha confermato che il trasferimento era in corso, senza fornire ulteriori dettagli.
La liberazione di Alexander, rapito durante l’attacco transfrontaliero di Hamas del 7 ottobre 2023, rappresenta il primo rilascio di un ostaggio da quando, a marzo 2025, Israele ha interrotto una tregua di otto settimane con Hamas, scatenando nuovi raid aerei che hanno causato centinaia di morti a Gaza.
Questo sviluppo giunge alla vigilia della visita in Medio Oriente del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che ha definito il rilascio “un passo compiuto in buona fede verso gli Stati Uniti e gli sforzi dei mediatori – Qatar ed Egitto – per porre fine a questa guerra brutale”.
Il contesto del conflitto: una crisi senza fine
L’attacco del 7 ottobre 2023, che ha innescato l’attuale fase del conflitto tra Israele e Hamas, ha causato la morte di 1.200 persone in territorio israeliano e il rapimento di circa 250 ostaggi, molti dei quali sono stati successivamente liberati attraverso accordi di cessate il fuoco. La risposta militare israeliana è stata devastante: secondo il Ministero della Sanità di Gaza, gestito da Hamas, l’offensiva ha ucciso oltre 52.800 palestinesi, tra cui molte donne e bambini, e ha ridotto in macerie gran parte del territorio urbano di Gaza, costringendo il 90% della popolazione a sfollamenti ripetuti.
Alla fine della tregua di marzo 2025, Israele ha imposto un blocco totale degli aiuti umanitari a Gaza, aggravando una crisi umanitaria già critica e suscitando allarmi internazionali sul rischio di carestia. Il governo israeliano sostiene che queste misure siano necessarie per esercitare pressione su Hamas affinché accetti un accordo di cessate il fuoco alle condizioni di Israele. Tuttavia, Hamas ha denunciato il blocco come una “guerra della fame” e ha insistito sulla necessità di un cessate il fuoco permanente e del ritiro completo delle forze israeliane da Gaza.
La liberazione di Alexander: dettagli e reazioni
La liberazione di Edan Alexander è stata accompagnata da immagini toccanti trasmesse dai media: sua madre, Yael Alexander, è stata vista arrivare alla base militare di Reim, nel sud di Israele, dove il figlio era atteso. La nonna, Varda Ben Baruch, ha raccontato di aver preparato i piatti preferiti di Edan, inviandone alcuni alla base, in un misto di speranza e ansia dopo mesi di incertezza. “Ho dormito a malapena”, ha dichiarato.
Hamas ha annunciato la sua intenzione di liberare Alexander già domenica, pochi giorni prima dell’arrivo di Trump in Medio Oriente. Il gruppo ha sottolineato che il gesto era mirato a “rivitalizzare i colloqui” per un cessate il fuoco, coinvolgendo i mediatori di Qatar ed Egitto. Tuttavia, l’ufficio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha chiarito che Israele non ha concesso alcuna contropartita per il rilascio, limitandosi a creare un “corridoio sicuro” per il trasferimento di Alexander. L’ufficio ha ribadito che Israele continuerà la sua offensiva a Gaza, con piani per intensificare le operazioni dopo la visita di Trump, a meno che non emerga un nuovo accordo di tregua.
Pressioni interne e critiche a Netanyahu
La liberazione di Alexander ha riacceso il dibattito in Israele, dove Netanyahu è sotto pressione sia per il destino dei 59 ostaggi ancora in mano a Hamas (di cui circa 24 sarebbero vivi) sia per la gestione complessiva del conflitto. Il Forum delle Famiglie degli Ostaggi e dei Dispersi ha accolto con favore l’annuncio dell’invio di una delegazione israeliana a Doha per nuovi colloqui, ma ha esortato il governo a garantire il ritorno di tutti i prigionieri. “Il rilascio di Edan Alexander ci dà speranza, ma tutti i 58 nostri cari devono tornare a casa. Il tempo sta finendo”, ha dichiarato il gruppo in una nota.
Critiche al premier sono arrivate anche durante il suo processo per presunta corruzione, in corso a Gerusalemme. Una donna presente in aula ha interrotto l’udienza chiedendo a Netanyahu se si sentisse “in imbarazzo” per il fatto che sia il presidente degli Stati Uniti a “salvare i suoi cittadini” mentre Israele “li lascia morire in cattività”.
Il ruolo di Trump e i negoziati a Doha
La visita di Trump in Arabia Saudita, Qatar e Emirati Arabi Uniti è vista come un momento cruciale per i negoziati. Il presidente statunitense, che non farà tappa in Israele, ha già influenzato il corso delle trattative attraverso il suo inviato speciale per il Medio Oriente, Steve Witkoff, e l’ambasciatore USA in Israele, Mike Huckabee. Lunedì, Netanyahu ha incontrato entrambi per discutere degli sforzi per liberare gli ostaggi restanti, decidendo di inviare una delegazione a Doha per riprendere i colloqui.
Secondo fonti israeliane, i negoziati a Doha rappresentano “l’ultima chance” per raggiungere un accordo che includa il rilascio di 10 ostaggi, secondo l’iniziativa promossa da Witkoff. Tuttavia, ci sono timori a Gerusalemme che gli Stati Uniti possano concentrarsi solo sul rilascio di ostaggi con cittadinanza americana, lasciando indietro gli altri 58 prigionieri.
Hamas, dal canto suo, ha mostrato apertura al dialogo, ma ha ribadito che qualsiasi accordo deve includere un cessate il fuoco permanente, il ritiro delle truppe israeliane da Gaza e la ripresa degli aiuti umanitari. “Non ha senso impegnarsi in negoziati mentre continua la guerra della fame e lo sterminio a Gaza”, ha dichiarato Bassem Naim, membro dell’ufficio politico di Hamas, in un’intervista all’AFP.
Prospettive per il futuro: pace o escalation?
Nonostante il rilascio di Alexander sia stato accolto con ottimismo da Egitto e Qatar, che lo hanno definito “un passo incoraggiante” per riprendere i negoziati, le prospettive per una pace duratura rimangono fragili. Hamas insiste su un accordo che ponga fine alla guerra e garantisca i diritti dei palestinesi, mentre Israele mantiene una linea dura, rifiutando qualsiasi cessate il fuoco permanente finché Hamas non sarà “completamente distrutto”.
Nel frattempo, la comunità internazionale continua a esprimere preoccupazione per la crisi umanitaria a Gaza. L’ONU ha denunciato il blocco degli aiuti come una violazione del diritto internazionale, mentre il segretario generale Antonio Guterres ha ribadito la necessità di una “soluzione a due Stati” per garantire pace e stabilità nella regione.
Commenta con Facebook