Il centro sociale Leoncavallo, simbolo di autogestione a Milano, è stato sgomberato dopo decenni di rinvii. L’operazione, senza scontri, segna la fine di un’era.

Oggi, 21 agosto, alle 7:30, polizia e carabinieri, accompagnati dall’ufficiale giudiziario, hanno fatto ingresso nell’ex cartiera di via Watteau 7, a Milano, per eseguire lo sfratto del centro sociale Leoncavallo. Dopo 31 anni di occupazione abusiva e 133 tentativi di sgombero rinviati, l’operazione si è conclusa senza resistenze né problemi di ordine pubblico, trovando lo stabile vuoto. La struttura, di proprietà della società L’Orologio s.r.l. della famiglia Cabassi, è stata riconsegnata ai legittimi proprietari per la messa in sicurezza, come comunicato dalla Prefettura di Milano.

Una storia lunga mezzo secolo

Fondato nel 1975 in via Leoncavallo, nel quartiere Casoretto, il Leonka, come viene chiamato dai suoi sostenitori, è stato un punto di riferimento per generazioni di attivisti, artisti e cittadini. Dopo lo sgombero del 15 agosto 1994 dalla sede originaria, il collettivo si trasferì brevemente in via Salomone, per poi occupare, a settembre dello stesso anno, l’ex cartiera di via Watteau, sempre di proprietà dei Cabassi. Da allora, lo spazio è diventato un simbolo di autogestione, ospitando concerti, dibattiti, attività sociali e culturali, pur dividendo l’opinione pubblica tra chi lo considerava un baluardo di cultura alternativa e chi un’occupazione illegale.

Un’operazione a sorpresa

L’ordine di sfratto, atteso per il 9 settembre 2025, è stato anticipato senza preavviso, cogliendo di sorpresa l’Associazione Mamme Antifasciste del Leoncavallo, che gestisce lo spazio. “È uno sfratto esecutivo. Avremo 30 giorni per trovare un accordo con la proprietà per prendere un po’ di cose”, hanno dichiarato i rappresentanti dell’associazione, definendo l’evento “una tragedia” e preferendo non rilasciare ulteriori commenti immediati. L’operazione, iniziata all’alba, ha visto un ampio dispiegamento di forze dell’ordine, con gli accessi alla via presidiati da agenti in assetto antisommossa e il supporto della Digos. Alcuni militanti hanno cercato di avvicinarsi, ma sono stati respinti senza incidenti.

Il contenzioso legale e il risarcimento milionario

La vicenda del Leoncavallo si intreccia con una lunga battaglia legale. Nel 2003, il Tribunale di Milano aveva condannato l’Associazione Mamme Antifasciste al rilascio dell’immobile, sentenza confermata dalla Corte d’Appello nel 2004 e resa definitiva dalla Cassazione nel 2010. Tuttavia, lo sgombero non fu mai eseguito, principalmente per timori legati all’ordine pubblico e per tentativi di mediazione del Comune, mai andati a buon fine. Nel novembre 2024, la Corte d’Appello di Milano ha condannato il Ministero dell’Interno a risarcire 3,309,150 euro alla società L’Orologio s.r.l. per il danno derivante dai mancati sgomberi negli ultimi dieci anni, calcolati a 303,915 euro annui, oltre a spese e interessi legali. A sua volta, il Viminale ha chiesto il rimborso della stessa cifra alla presidente dell’associazione, Marina Boer, che ha dichiarato: “Ovviamente questi soldi non ci sono”.

Il futuro del Leoncavallo: verso via San Dionigi?

Nei mesi precedenti, l’Associazione Mamme Antifasciste aveva presentato una manifestazione d’interesse al Comune di Milano per trasferirsi in un immobile comunale in via San Dionigi, a Porto di Mare, come possibile soluzione per continuare le attività del centro sociale. Tuttavia, la struttura proposta necessita di una costosa bonifica dall’amianto, stimata intorno ai 300 mila euro, rendendola attualmente inabitabile. Il collettivo aveva anche lanciato una “cassa di resistenza” per raccogliere fondi, ricevendo il sostegno di realtà come l’Anpi provinciale di Milano. Il sindaco Giuseppe Sala, che in passato aveva definito il Leoncavallo “un valore storico per Milano,” si era detto disponibile a trovare una soluzione per preservare la realtà sociale, ma l’operazione di oggi segna una svolta significativa.