La Corte d’Assise di Milano ha assolto Marco Cappato con la formula ‘perché il fatto non sussiste’. L’esponente dei radicali era imputato per aiuto al suicidio per la vicenda di dj Fabo, vero nome Fabiano Antoniani, accompagnato in una clinica svizzera a morire nel 2017. Applausi, in aula, dopo la lettura della sentenza.

«Quello che posso dire è che Fabiano oggi, insieme a me, avrebbe festeggiato perché è una battaglia in cui credeva fin dall’inizio. È una battaglia per la libertà di tutti”. Così Valeria Imbrugno, la fidanzata di Fabiano Antoniani.

LA RICHIESTA DEL PROCURATORE AGGIUNTO

Il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e il pm Sara Arduini avevano chiesto alla Corte d’Assise di Milano di assolvere il tesoriere dell’associazione ‘Luca Coscioni’. Fabiano Antoniani, rimasto cieco e tetraplegico in seguito a un incidente stradale, come detto da Siciliano, «è stato libero di scegliere di morire con dignità». Secondo il magistrato, la scelta di Dj Fabo è avvenuta in conformità alle condizioni individuate dalla Consulta per escludere che l’accompagnamento di un malato a morire sia considerato un reato.

Antoniani, ha argomentato Siciliano, soffriva di «una patologia irreversibile che gli procurava gravi sofferenze fisiche e psicologiche», «dipendeva dalle macchine che lo tenevano in vita» e ha preso «una decisione libera e consapevole» di morire. «Fino alla mattina della morte – ha aggiunto – Cappato gli ha prospettato la possibilità di scegliere una via alternativa».

Dopo la lettura dlela sentenza, il procuratore aggiunto ha dichiarato: «È una giornata storica e un grande risultato perché la decisione della Corte realizza pienamente il significato dell’articolo due della Costituzione che mette l’uomo al centro della vita sociale e non anche lo Stato. Ora è compito del legislatore colmare le lacune che ancora ci sono».

LE PAROLE DI MARCO CAAPPATO

L’aver aiutato a morire Fabiano Antoniani è stato dettato da «una motivazione di libertà, di diritto all’autodeterminazione individuale, laddove non è la ‘tecnica’ del tenere in vita o del far morire che è rilevante, ma la libertà di autodeterminazione, quella sì che è rilevante». Così in aula Marco Cappato, al termine delle arringhe difensive.

LA MORTE DELLA MAMMA DI CAPPATO

In tribunale Cappato ha ricevuto una terribile notizia: la morte della mamma, ricoverata da qualche giorno in ospedale a Milano. I difensori hanno chiesto qualche minuto di pausa per permettere a Cappato di uscire dall’aula dove è stato abbracciato e consolato dalla moglie.

LA REAZIONE DI ADINOLFI (POPOLO DELLA FAMIGLIA)

«Non mi aspettavo nulla di diverso, l’assoluzione è conseguenza della sentenza della Corte Costituzionale. L’errore è stato compiuto dalla Corte Costituzionale». Così, all’Adnkronos, Mario Adinolfi, fondatore del Popolo della Famiglia,

«Un errore gravissimo – ha aggiunto –  perché le conseguenze non sono ancora state identificate: vorrei capire cosa succederà quando un domani Cappato dovesse aiutare un altro disabile a uccidersi, stavolta a Roma anziché a Zurigo. Allora vorrei capire davvero se i giudici costituzionali sentiranno il rimorso della propria coscienza. Mi appello a Mattarella, al presidente della Corte costituzionale, che sono dei cattolici, mi appello alle forze in parlamento e come Popolo della Famiglia siamo in campo per sensibilizzare tutti affinché si arrivi a una legge che torni a far considerare la vita umana come un bene indisponibile».