Alexei Navalny è morto nel 2024 in una colonia penale siberiana, ufficialmente per un improvviso malore. Ma secondo la moglie, Yulia Navalnaya, la causa sarebbe ben diversa: un avvelenamento deliberato, accertato da due laboratori indipendenti in Occidente. Una nuova accusa che riapre interrogativi mai chiariti sulla fine dell’oppositore più noto di Vladimir Putin.
Una denuncia pubblica e diretta
La dichiarazione è stata diffusa tramite un video pubblicato sui social da Yulia Navalnaya, vedova del leader dell’opposizione russa. “Non resterò in silenzio”, ha detto. “Affermo che Vladimir Putin è colpevole dell’omicidio di mio marito, Alexei Navalny”. Secondo Navalnaya, sarebbero stati i servizi segreti russi a sviluppare le armi chimiche e biologiche usate contro il marito.
Nel video, Yulia Navalnaya ha rivelato che, nel febbraio 2024, “siamo riusciti a ottenere campioni biologici di Alexei, a trasferirli all’estero e a consegnarli a un laboratorio in uno dei paesi occidentali”. Successivamente, anche un secondo laboratorio, situato in un altro Paese, avrebbe confermato gli stessi risultati: “Alexei è stato avvelenato”.
Testimonianze e nuove prove
La vedova ha anche riferito che il team di Navalny avrebbe raccolto le testimonianze di cinque dipendenti della colonia penale IK-3, nella regione artica di Kharp, dove l’attivista è morto. Questi avrebbero affermato che Navalny è stato trovato in preda a convulsioni, a terra nella sua cella, con tracce visibili di vomito. Sui social, Navalnaya ha diffuso anche una foto – non verificata in modo indipendente – che mostrerebbe una pozza sul pavimento della cella. L’immagine, secondo quanto affermato, sarebbe stata scattata dopo la rimozione del corpo.
Это камера ШИЗО, в которой умирал Алексей Навальный. На столе лежит библия, на прибитой скамейке англо-русский словарь, на полу арестанские варежки, шарф и шапка. Кровать пристегнута к стене, под ней Алексея оставили разбежавшиеся вертухаи, когда он кричал от боли и просил их… pic.twitter.com/9Ni3mEcNcJ
— Георгий Албуров (@alburov) September 17, 2025
Un passato già segnato dall’avvelenamento
Alexei Navalny, noto per le sue campagne anticorruzione e per aver mobilitato centinaia di migliaia di cittadini russi in proteste contro il Cremlino, era già sopravvissuto a un tentativo di avvelenamento nel 2020. All’epoca, il dissidente fu colpito da un agente nervino della famiglia Novichok, durante un viaggio in Siberia. In gravi condizioni, fu trasferito d’urgenza in Germania, dove rimase in cura per diversi mesi.
Rientrato in Russia nel gennaio 2021, fu immediatamente arrestato e condannato con accuse ritenute da più osservatori internazionali di natura politica. Nei mesi precedenti alla sua morte, Navalny stava scontando una pena di 19 anni con l’accusa di “estremismo”.
Silenzio e opacità ufficiali
Dopo la morte, le autorità russe hanno impiegato giorni prima di consegnare il corpo alla famiglia, alimentando il sospetto di un tentativo di nascondere le cause effettive del decesso. Le informazioni ufficiali si sono limitate ad affermare che Navalny “si è sentito male mentre camminava nel cortile del carcere”. Alla richiesta di commenti sulle nuove accuse da parte della vedova, il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha dichiarato: “Non so nulla di queste sue dichiarazioni. Non posso dire nulla al riguardo”, come riportato dall’agenzia di stampa Tass.
La richiesta di trasparenza
Yulia Navalnaya ha chiesto pubblicamente che i laboratori che hanno effettuato le analisi rendano noti i risultati in modo indipendente, compresa l’identificazione esatta della sostanza tossica. “Esigo che i laboratori che hanno condotto la ricerca pubblichino i loro risultati. Smettetela di flirtare con Putin per motivi di potere. Non riuscirete a placarlo. Finché rimarrete in silenzio, non si fermerà”, ha detto.
Al momento, però, nessun laboratorio ha reso pubblici i dettagli scientifici delle analisi. Rimane quindi ignoto quale veleno sia stato utilizzato e se vi siano elementi tecnici in grado di provare una responsabilità diretta del governo russo.
Il contesto della repressione politica
Navalny è stato uno dei più attivi critici dell’invasione russa dell’Ucraina e del sistema di potere consolidato da Putin in oltre due decenni. Già nel 2021, Amnesty International lo aveva definito “prigioniero di coscienza”, mentre l’Unione Europea e gli Stati Uniti avevano chiesto ripetutamente la sua liberazione. Con la sua morte, molti osservatori hanno parlato di una “svolta irreversibile” nella repressione del dissenso in Russia.
L’eredità politica e l’azione della vedova
Yulia Navalnaya ha più volte dichiarato l’intenzione di continuare la battaglia del marito, diventando negli ultimi mesi una figura sempre più presente nel dibattito internazionale. Ha partecipato a incontri ufficiali con leader europei e ha lanciato appelli pubblici per isolare diplomaticamente il regime russo. Il suo messaggio è stato chiaro: “Finché rimarrete in silenzio, non si fermerà”. Un avvertimento rivolto all’Occidente, accusato di compromessi tattici con il potere di Putin, a scapito dei diritti umani e della verità.






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