Sono numeri in chiaroscuro quelli relativi al sud proposti dalla Svimez nel tradizionale rapporto sull’economia del Mezzogiorno. Se da un lato si segnala la crescita e un accenno alla ripresa, fa paura lo spettro della povertà.
Secondo l’ Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno “nel 2015 10 meridionali su 100 risultano in condizioni di povertà assoluta, contro poco più di 6 nel Centro-Nord. Il rischio di cadere in povertà è triplo al Sud rispetto al resto del Paese, nelle due regioni più grandi, Sicilia e Campania, sfiora il 40%”.
La Svimez nel Rapporto 2016 sull’economia del Mezzogiorno, presentato oggi a Roma nella Sala del Tempio di Adriano della Camera di Commercio, avanza una serie di proposte per il Sud.
“Serve una nuova politica industriale per il rilancio del Mezzogiorno, agli strumenti di incentivazione nazionali accesso troppo basso delle imprese meridionali. Bene ha fatto il Governo a ripristinare solo nel Mezzogiorno per il 2017 l’esonero totale dal pagamento dei contributi INPS a carico del datore di lavoro per i nuovi assunti, giovani e svantaggiati, a tempo indeterminato. Sì all’introduzione di una prima misura nazionale di contrasto alla povertà nelle famiglie a rischio, ma le risorse sono assolutamente insufficienti. Per Masterplan e Patti per il Sud servono: diverse e ulteriori forme di finanziamento, coordinamento e unitarietà della programmazione e una chiara strategia sovraregionale”, si legge nel comunicato.
Di seguito pubblichiamo i numeri principali del rapporto.
Le previsioni per il 2016 e il 2017
Secondo stime SVIMEZ aggiornate a novembre, nel 2016 il Pil italiano dovrebbe crescere dello 0,8%, quale risultato del +0,9% del Centro-Nord e del +0,5% del Sud. Una variazione ancor più positiva di prodotto del Sud rispetto alle previsioni di luglio 2016.
A trascinare l’evoluzione positiva del Pil l’andamento dei consumi, stimato in +0,6% al Centro-Nord e +0,4% al Sud. Divergente nel 2016 la dinamica degli investimenti fissi lordi, +2% al Centro-Nord, +0,6% al Sud. L’occupazione, dopo la drastica riduzione dal 100% al 40% degli sgravi contributivi, ristagna: +0,3% al Centro-Nord, +0,2% al Sud.
La crescita si rafforza nel 2017: il Pil italiano dovrebbe aumentare del +1% , sintesi di un +1,1% del Centro-Nord e di un +0,9% del Sud. A concorrere positivamente l’andamento dei consumi finali, stimato in +0,5% al Centro-Nord e +0,6% al Sud. Su anche gli investimenti fissi lordi, +2% il dato nazionale, quale risultato del +2% del Centro-Nord e del +0,6% del Sud. Sul fronte occupazionale, si prevede un aumento nazionale del +0,4%: +0,4% al Centro-Nord e +0,3% al Sud.
Pil e Mezzogiorno nel 2015
In base a valutazioni SVIMEZ nel 2015 il Pil è cresciuto nel Mezzogiorno dell’1%, recuperando parzialmente la caduta dell’anno precedente (-1,2%). L’incremento è stato superiore dello 0,3% a quello rilevato nel resto del Paese,+0,7%.
Dopo sette anni di crisi ininterrotta, l’economia delle regioni meridionali ha iniziato la ripresa, sebbene in ritardo non solo rispetto al resto dell’Europa ma anche al resto del Paese: dal 2007, il Pil in quest’area è calato del -12,3%, quasi il doppio della flessione registrata nel Centro-Nord (-7,1%).
La crescita del prodotto nelle regioni del Sud ha beneficiato nel 2015 di alcune condizioni peculiari: un’annata agraria particolarmente favorevole, con un aumento di valore aggiunto del +7,3%; la crescita del valore aggiunto nei servizi, soprattutto nel turismo, legata alle crisi geopolitiche nell’area del Mediterraneo che hanno dirottato parte del flusso turistico verso il Mezzogiorno; la chiusura della programmazione dei Fondi strutturali europei 2007-2013, che ha portato a un’accelerazione della spesa pubblica legata al loro utilizzo per evitarne la restituzione.
Dal 1996 al 2015 il gap cumulato nella crescita è stato pari a 29 punti percentuali con l’UE a 28 e a quasi 23 punti con l’area dell’Euro. Un ritmo molto più lento del + 30% in Germania, +51% in Spagna, +36% in Francia.
Pil pro capite e Mezzogiorno nel 2015
La crescita in termini di prodotto pro capite è stata dell’1,1% nel Sud, e dello 0,6% nel resto del Paese. Il divario di sviluppo tra Nord e Sud in termini di prodotto per abitante ha ripreso a ridursi: nel 2015 il differenziale negativo è tornato al 43,5% rispetto al 43,9% del 2014. A livello regionale nel 2015 segno positivo per tutte le regioni italiane, con un prodotto pro-capite italiano del +0,9%, che si declina in +0.8% nel Centro Nord e nel +1,2% nel Mezzogiorno.
Nello specifico delle singole regioni meridionali, il Pil pro capite 2015 più performante è quello della Basilicata +5,9%, seguita dal Molise +3,4%, dall’Abruzzo +2,7%. Poi nella graduatoria compaiono la Sicilia +1,7%, e la Calabria +1,4%. Agli ultimi posti la Sardegna +0,5%, la Puglia + 0,4%, fanalino di coda la Campania +0,3%. Le regioni più povere sono la Calabria, con un Pil pro capite pari a 16.659 euro, la Puglia con 16.973, la Campania con 17.077. Il divario tra la regione più ricca, il Trentino Alto Adige, dove il Pil pro capite è stato mediamente pari a 37.561 euro e la più povera, la Calabria, è stato nel 2015 pari a quasi 21 mila euro.
Tornano a crescere i consumi al Sud
I consumi delle famiglie meridionali sono aumentati nel 2015 dello 0,3%, a fronte di una diminuzione del -0,6% nel 2014. L’incremento nelle regioni del Centro-Nord è stato dello 0,8%. La differenza tra le due aree è dovuta solo ai consumi privati, perché quelli pubblici sono diminuiti dappertutto del -0,6%.
I consumi delle famiglie sono cresciuti l’anno scorso al Sud dello 0,7%, meno che nel resto del Paese 81,2%). Ciò è avvenuto sia per la necessità di ricostituire le scorte monetarie, prosciugate negli anni di crisi, sia per le attese non del tutto positive sull’uscita da un ciclo negativo.
Nel Mezzogiorno, in particolare, non cresce ancora la spesa alimentare (-0,1%, mentre la stessa aumenta dello 0,2% nel centro-Nord. Particolarmente ampia è la forbice per la spesa in vestiario e calzature, che cresce al Sud nel 2015 dell1%, meno del +1,6% del resto d’Italia. Infine, i consumi per altri beni e servizi, tra i quali figurano quelli per la salute e la cultura, sono stati pari nel Mezzogiorno nel 2015 al +0,7%, contro +1,2% del resto del Paese.
In ripresa anche gli investimenti
Nel 2015 il miglioramento del clima di fiducia degli imprenditori e le meno stringenti condizioni poste dalle banche per l’accesso al credito, uniti alle aspettative positive della domanda interna, hanno sospinto gli investimenti nel Sud che sono cresciuti dello 0,8%, dopo sette anni di variazioni negative. Un incremento pari a quello del Centro-Nord. Ma non bisogna sottovalutare che nel periodo della recessione 2008-2014, gli investimenti fissi lordi erano diminuiti cumulativamente nel Mezzogiorno del -41,4%, circa 15 punti in più che nel resto del Paese (-26,7%).
I settori che tirano
Nel 2015, in agricoltura, il valore aggiunto ha fatto un balzo in avanti del +7,3%, contro un modesto 1,6% del Centro-Nord. Anche nei servizi il Mezzogiorno ha sopravanzato l’altra parte del Paese: +0,8% contro +0,3%. Nell’industria, invece, è il Centro-Nord che continua a tirare (+1,1% contro -0,3% del Sud): ma la novità è che la dinamica negativa del Sud è da attribuirsi al settore energetico, perché, se, invece, si considera il solo manifatturiero, il prodotto è cresciuto dappertutto, anzi è aumentato più al Sud +1,9% rispetto al Centro-Nord (+1,4%). Meglio nel Mezzogiorno perfino gli investimenti nelle costruzioni, +1,1%, rispetto al Centro-Nord, dove sono calati del -1,3%. Va comunque tenuto presente che l’aumento della produzione nel settore manifatturiero lo scorso anno è avvenuto al termine di sette anni di crisi in cui il valore aggiunto al Sud si era complessivamente ridotto di circa un terzo (-32,5%), registrando una caduta quasi tripla rispetto a quella avvenuta nel resto del Paese (-12%).
Aumentano gli occupati al Sud
Nelle regioni meridionali nel 2015 gli occupati sono aumentati dell’1,6%, pari a 94 mila unità, mentre in quelle del Centro-Nord sono cresciuti dello 0,6%, 91 mila unità.
E finalmente nel 2016 cresce anche l’occupazione giovanile meridionale: +3,9%, rispetto a una media nazionale del +2,8% e un aumento al Centro-Nord pari a +2,4%.
I risultati, nel complesso positivi, del mercato del lavoro meridionale, che si riflettono in un aumento dell’occupazione e un calo della disoccupazione, non debbono però far perdere di vista le criticità, in quanto i livelli occupazionali al Sud sono ancora troppo distanti da quelli precedenti alla crisi. L’unica regione del Sud vicina ai valori del 2008 è la Basilicata. L’aumento dei posti di lavoro al Sud riguarda in particolare l’agricoltura (+5,5%) e il terziario (+1,8%), grazie soprattutto al turismo. Nell’industria in senso stretto vi è nel 2015 ancora un calo degli occupati al Sud, -1,6%, che, però, nei primi mesi del 2016 inverte il segno: +3,9%. Mentre prosegue la caduta degli occupati nelle costruzioni all’inizio dell’anno in corso, -4%. Perdono, però, peso le occupazioni più qualificate, cresce piuttosto il lavoro part-time in professioni meno qualificate. Nel 2015 l’incremento del tempo pieno è più forte al Sud (+1,3%, a fronte del +0,4% del resto del Paese) favorito dalla riforma del job acts e dalla decontribuzione piena sulle nuove assunzioni. Non a caso aumenta, invece, al Centro-Nord e cala al Sud all’inizio del 2016, quando la decontribuzione scende dal 100% al 40%.
Migrazioni qualificate e crollo nascite
Il saldo migratorio netto del Mezzogiorno è di 653 mila unità. 478 mila sono giovani, di cui 133 mila laureati, e le donne sono più degli uomini. La popolazione meridionale nel 2015 è diminuita di ulteriori 62 mila unità: il calo è la conseguenza di una riduzione degli italiani di oltre 101 mila unità e di una crescita degli stranieri di circa 40 mila unità. Nel 2015 il numero dei nati al Sud ha raggiunto il livello più basso dall’Unità d’Italia: 170 mila.
Povertà e disuguaglianze sociali
Nel 2015 10 meridionali su 100 risultano in condizioni di povertà assoluta, contro poco più di 6 nel Centro-Nord. Il rischio di cadere in povertà è triplo al Sud rispetto al resto del Paese, nelle due regioni più grandi, Sicilia e Campania, sfiora il 40%.
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