18,6 miliardi di euro: è questo il giro d’affari globale per il 2017 dei sex toys. In Italia il fatturato è cresciuto del 6% in un anno mentre in Europa il segno + raggiunge il 20%. E’ quanto emerge dall’inchiesta pubblicata dal Corriere a firma Milena Gabanelli.

Secondo una recente indagine di mercato, il 60% delle persone che acquistano sex toys li utilizzano abitualmente. Per il 25% sono uomini, 35% le coppie e il 40% donne tra i 20 e i 45 anni. Ad usarli di più sono le giovani tra 20 e 30 anni, con una crescita del 300% rispetto al 2016.

Anche se sono acquistabili presso i circa 500 sexy shop presenti oggi in Italia, il mercato dell’online rappresenta un’alternativa più attenta e rispettosa della privacy dei clienti. I prezzi variano dai 99 centesimi ai 399 euro per gli oggetti più tecnologici e curati. La spesa media per utente è di circa 80/90 euro.

L’inchiesta della Gabanelli sottolinea i rischi per la salute derivanti soprattutto dai toys prodotti nei paesi asiatici, che tra l’altro sono la fetta maggiore del mercato. Il rischio maggiore sarebbe da addebbitare agli ftalati che per la comunità scientifica sono “interferenti endocrini e cancerogeni”. Secondo Greenpeace Olanda, che ha fatto analizzare alcuni vibratori, 7 toys su otto contenevano ftalati in concentrazioni variabili tra il 24% al 51%.

Nei giocattoli la concentrazione deve stare sotto lo 0,1%, proprio per i rischi elevatissimi che comporta. Le ricadute principali dall’esposizione agli ftalati riguardano la salute riproduttiva dell’età evolutiva. Quindi la conclusione della Gabanelli: “comprare prodotti con marchio Ce e in silicone, diffidare di tutti gli altri”.