Si intitola “Riina. Family Life”, il libro del figlio del ‘capo dei capi’ Totò Riina che sarà in vendita nelle librerie a partire da dopodomani. Una biografia quasi inedita, la vita di uno dei più potenti boss di Cosa nostra vista dagli occhi del figlio quando era appena un adolescente. Il volume è pubblicato da edizioni Anordest. L’autore, Giuseppe Salvatore, detto Salvo – 39 anni a maggio – è stato condannato per associazione mafiosa a 8 anni e 10 mesi e ha interamente scontato la sua pena. Nell’aprile 2012, poi, si è trasferito a Padova in regime di sorveglianza, mentre il fratello Giovanni sconta l’ergastolo al 41bis, come il padre.

“Totò Riina, mio padre, era il mio eroe”, racconta il figlio del boss di Cosa nostra. Giuseppe Salvatore Riina – riporta il Corriere della Sera-  ha spiegato per filo e per segno i giorni in cui il padre Totò pianificava e ordinava l’omicidio di Salvo Lima, politico democristiano ucciso per non aver saputo “aggiustare” il maxiprocesso alla mafia.

“Tra febbraio e marzo del 1992 passammo notti intere insonni davanti al televisore a seguire il Moro di Venezia gareggiare nell’America’s Cup. Papà preparava la postazione del divano solo per noi due, con un vassoio di biscotti preparato per l’occasione e due sedie piazzate a mo’ di poggiapiedi… Io non avevo ancora compiuto 15 anni e lui era già il mio eroe”.

Nel suo libro, Riina ricorda un giorno molto importante della storia siciliana e italiana, quel 23 maggio della strage di Capace che aveva come mandante proprio Riina. “La tv era accesa su Rai1, e il telegiornale in edizione straordinaria già andava avanti da un’ora. Non facemmo domande, ma ci limitammo a guardare nello schermo. Il viso di Giovanni Falcone veniva riproposto ogni minuto, alternato alle immagini rivoltanti di un’autostrada aperta in due… Un cratere fumante, pieno di rottami e di poliziotti indaffarati nelle ricerche… Pure mio padre Totò era a casa. Stava seduto nella sua poltrona davanti al televisore. Anche lui in silenzio. Non diceva una parola, ma non era agitato o particolarmente incuriosito da quelle immagini. Sul volto qualche ruga, appena accigliato, ascoltava pensando ad altro”.

Pochi mesi dopo, il 19 luglio, lo stesso amaro destino toccava al magistrato Paolo Borsellino, ucciso a Via D’Amelio. La famiglia Riina era in vacanza al mare. “Fu uno di quei giorni in cui mio padre preferì rimanere a casa ad aspettarci, sempre circondato dai suoi giornali che leggeva lentamente ma con attenzione. Negli ultimi mesi era diventato più attento nelle uscite in pubblico, anche se dentro casa era sempre il solito uomo sorridente e disposto al gioco”. Al ritorno dalla spiaggia ancora la tv accesa, ancora immagini di morte, fuoco e fiamme: “Il magistrato Paolo Borsellino appariva in un riquadro a fianco, ripreso in una foto di poche settimane prima… Lucia, dodicenne, era la più colpita da quelle immagini. Si avvicinò a mio padre silenzioso. “Papà, dobbiamo ripartire?”. “Perché vuoi partire?” domandò lui, finalmente rompendo la tensione con la quale fissava il televisore. “Non lo so. Dobbiamo tornare a Palermo?”. “Voi pensate a godervi le vacanze. Restiamo al mare ancora per un po’”. Lucia scoppiò in una ingenua risata e lo abbracciò… E così restammo lì fino alla fine di agosto”.

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