Quattro anni possono davvero bastare per definire un procedimento che la legge prevede debba concludersi in poco più di cinque mesi? La risposta, nei fatti, è stata a lungo negativa per una società impegnata nello sviluppo di un impianto fotovoltaico nel Materano. Ora però una sentenza del Consiglio di Stato riaccende l’attenzione sul rispetto dei termini nella valutazione di impatto ambientale.

Il tema non è solo tecnico. Riguarda il rapporto tra imprese e pubblica amministrazione, la certezza del diritto e la credibilità delle politiche energetiche nazionali. In gioco ci sono investimenti, programmazione industriale e l’accesso a meccanismi di incentivazione legati alle energie rinnovabili.

La vicenda nasce dal silenzio del Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica su un procedimento di VIA avviato anni prima. Un silenzio che, secondo la società proponente, ha superato ogni limite ragionevole e normativo. Da qui il contenzioso amministrativo, prima davanti al TAR Basilicata e poi, in appello, davanti al Consiglio di Stato. Il risultato finale segna un cambio di prospettiva rispetto alla decisione di primo grado e offre chiarimenti rilevanti sull’interpretazione degli articoli 23 e seguenti del Decreto Legislativo 152/2006, il cosiddetto Codice dell’Ambiente.

Il contesto normativo: cosa prevede la valutazione di impatto ambientale

La valutazione di impatto ambientale (VIA) è uno degli strumenti centrali della legislazione ambientale italiana. Serve a verificare preventivamente gli effetti di un progetto sull’ambiente, sul territorio e sulla salute delle persone. Il riferimento normativo è il Decreto Legislativo 152/2006. In particolare, gli articoli 23 e seguenti stabiliscono le fasi del procedimento e i termini entro cui l’amministrazione deve esprimersi. Per i progetti di competenza statale, come molti grandi impianti fotovoltaici, la legge prevede un termine complessivo di 160 giorni.

Questo termine non è rigido in senso assoluto. La normativa consente sospensioni e proroghe in presenza di esigenze istruttorie specifiche, come richieste di integrazioni documentali o approfondimenti tecnici. Tuttavia, anche tenendo conto di queste possibilità, il tempo massimo resta di gran lunga inferiore a quello registrato nel caso oggetto della sentenza.

Nel procedimento in esame, infatti, erano trascorsi circa quattro anni dall’avvio senza che il Ministero avesse adottato un provvedimento conclusivo. Un lasso di tempo che ha spinto la società proponente ad agire in giudizio contro il silenzio dell’amministrazione.

Il silenzio del Ministero e il ricorso della società proponente

La società impegnata nel progetto fotovoltaico nel Materano ha contestato formalmente l’inerzia del Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica. Nonostante il decorso di un tempo molto superiore a quello previsto dalla legge, il procedimento di VIA non era stato concluso. Secondo la ricostruzione difensiva, l’amministrazione resistente non solo aveva superato i termini ordinari e straordinari previsti dal Codice dell’Ambiente, ma lo aveva fatto senza fornire una decisione finale. Questo comportamento, a giudizio della società, aveva prodotto un danno concreto.

Il mancato esito del procedimento aveva infatti impedito alla società di cogliere importanti occasioni di accesso a tariffe incentivanti. Un aspetto tutt’altro che marginale nel settore delle energie rinnovabili, dove tempi certi e pianificazione sono elementi decisivi per la sostenibilità economica dei progetti. La controversia è quindi approdata davanti al TAR Basilicata, chiamato a valutare se l’azione contro il silenzio fosse ancora proponibile e se i termini del procedimento potessero considerarsi nuovamente decorso dopo alcune fasi istruttorie intermedie.

La decisione del TAR Basilicata e l’interpretazione contestata

Il TAR Basilicata ha respinto le tesi della società proponente. Secondo il giudice di primo grado, la disciplina sui termini del procedimento di VIA e sul termine di decadenza dell’azione avverso il silenzio era stata mal interpretata dalla parte ricorrente. In particolare, il TAR ha ritenuto che la pubblicazione di un secondo avviso al pubblico, successivo a un aggiornamento progettuale richiesto dalla soprintendenza, non fosse idonea a determinare la riattivazione ex novo del procedimento.

In questa prospettiva, l’aggiornamento progettuale e la conseguente nuova consultazione pubblica non avrebbero fatto ripartire i termini per la conclusione della VIA. Di conseguenza, l’azione contro il silenzio sarebbe risultata tardiva o comunque infondata. Questa lettura ha però sollevato perplessità, soprattutto per le implicazioni pratiche. Se accolta in modo generalizzato, rischierebbe di legittimare ritardi molto lunghi anche in presenza di integrazioni documentali rilevanti.

L’appello al Consiglio di Stato e il ribaltamento del verdetto

La società proponente ha quindi presentato appello al Consiglio di Stato. Il collegio ha accolto le argomentazioni difensive, ribaltando la sentenza del TAR Basilicata. Il Consiglio di Stato ha sposato le tesi del team legale composto dagli avvocati Michele Cimino, Giorgio Troja e Oscar Di Rosa. Secondo questa impostazione, occorre distinguere due piani diversi: quello delle osservazioni del pubblico e quello dei termini per la decisione finale dell’amministrazione.

È vero, ha riconosciuto il giudice amministrativo, che le osservazioni presentate nel termine decorrente dalla pubblicazione dell’avviso al pubblico devono riferirsi alla sola documentazione integrativa. Tuttavia, questo non esaurisce la questione dei termini procedimentali.

Il punto centrale riguarda il momento da cui decorre il termine per l’espressione del provvedimento da parte della Commissione Tecnica PNIEC PNRR. Per il Consiglio di Stato, tale termine decorre dalla conclusione della consultazione pubblica comprensiva della nuova documentazione integrativa. In altre parole, quando il progetto viene integrato e sottoposto nuovamente a consultazione, il procedimento non può considerarsi cristallizzato alla fase precedente.

Il passaggio chiave della sentenza sulla decorrenza dei termini

Il Supremo Consesso Amministrativo ha chiarito il principio con un’affermazione netta. Secondo il Consiglio di Stato, «solo una volta completata la documentazione da sottoporre alla consultazione pubblica può ripartire il termine per la definizione della VIA ex art 24, comma 1 d.lgs.152/2006»- La traduzione in termini pratici è rilevante. L’amministrazione non può far valere fasi istruttorie incomplete per giustificare ritardi prolungati. Se la documentazione viene integrata, la consultazione deve svolgersi su un quadro completo e aggiornato. Solo da quel momento decorrono i termini per la decisione finale.

Questo orientamento rafforza il principio di effettività della partecipazione pubblica e, allo stesso tempo, tutela l’interesse del proponente a una conclusione certa del procedimento.

Le conseguenze per il Ministero e per il settore delle rinnovabili

La sentenza non si limita al caso specifico del fotovoltaico nel Materano. Le sue ricadute potenziali riguardano l’intero sistema delle autorizzazioni ambientali, in particolare per i progetti legati alla transizione energetica. Il settore delle rinnovabili è caratterizzato da una forte dipendenza dai tempi amministrativi. Ritardi e incertezze possono compromettere l’accesso a finanziamenti, incentivi e programmi di sviluppo. In questo quadro, il chiarimento offerto dal Consiglio di Stato rappresenta un punto di riferimento per operatori e amministrazioni.

Il principio affermato rafforza l’obbligo per il Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica di concludere i procedimenti entro tempi coerenti con la normativa. Al tempo stesso, offre alle imprese uno strumento di tutela più chiaro contro l’inerzia amministrativa.

La posizione dell’avvocato Cimino e le prospettive future

Soddisfatto l’avvocato Michele Cimino, che ha espresso l’auspicio che il Ministero possa ora procedere a definire il procedimento nel più breve tempo possibile. L’obiettivo dichiarato è evitare un ulteriore danno alla società proponente. Il danno richiamato non è solo teorico. La società, secondo quanto riferito, ha già perso importanti occasioni di accesso a tariffe incentivanti proprio a causa dell’inerzia dell’amministrazione statale. La conclusione del procedimento rappresenta quindi un passaggio necessario non solo per il singolo progetto, ma anche per ristabilire un rapporto di fiducia tra operatori economici e istituzioni.

Lo sapevi che…?

  • Il termine ordinario di 160 giorni per la VIA statale è uno dei più brevi in Europa, ma viene spesso superato nella pratica.
  • Le integrazioni progettuali sono frequenti nei grandi impianti fotovoltaici, soprattutto per tutelare il paesaggio e il patrimonio culturale.
  • Il silenzio della pubblica amministrazione può essere impugnato davanti al giudice amministrativo proprio per evitare blocchi indefiniti dei procedimenti.

FAQ – Domande frequenti

  • Cos’è la VIA?
È la valutazione di impatto ambientale, un procedimento che analizza gli effetti di un progetto sull’ambiente prima della sua realizzazione.
  • Quanti giorni ha il Ministero per concludere una VIA?
In linea generale 160 giorni, con possibilità di sospensioni e proroghe motivate.
  • Cosa succede se il Ministero non risponde?
Il silenzio può essere impugnato davanti al giudice amministrativo.
  • Le integrazioni progettuali fanno ripartire i termini?
Secondo il Consiglio di Stato, sì, dopo la consultazione pubblica sulla documentazione completa.
  • La sentenza riguarda solo il fotovoltaico?
No, il principio può valere per altri progetti soggetti a VIA.