Le era stata diagnosticata in ospedale una colica renale dovuta alla presenza di un solo calcolo e, pertanto, era stata dimessa. In realtà, una donna siciliana di 49 anni era affetta da una “colica renale sinistra con nefrocalcinosi da numerosi calcoli renali” con “rene sinistro aumentato di volume” e morì dopo un secondo ricovero che si era reso necessario per l’aggravarsi delle sue condizioni.
Ora il giudice della Terza sezione civile del Tribunale di Palermo hanno condannato l’Azienda Ospedaliera Civico Di Cristina-Benfratelli del capoluogo siciliano a risarcire oltre 600mila euro ai famigliari della donna, assistiti dall’avvocato Giuseppe Badolato del Foro di Milano.
Per giungere alla sentenza, il giudice ha acquisito anche la consulenza disposta dal pm in sede penale (un procedimento è ancora aperto a carico dei medici) in cui un medico-legale ed un urologo avevano scritto che “risulta evidente come la causa mortis” della signora “appaia riconducibile ad uno ‘shock settico’ irreversibile da dilatazione dell’uretere” in conseguenza di “una colica renale sinistra da nefrocalcinosi bilaterale””.
“Appare evidente – scrivevano i consulenti – come già dal primo accesso delle ore 18,16 del 6.3.2013 al Pronto Soccorso dell’Ospedale Civico di Palermo, la paziente fosse affetta da una calcolosi renale bilaterale ostruente”, e il ricovero appariva “prudenzialmente non dilazionabile sia per drenare con urgenza i reni, come sarà fatto al successivo ricovero, che per monitorare la funzione renale della paziente”.
“L’avere dimesso dal Pronto Soccorso la paziente con terapia medica domiciliare è stato un atto di imperizia e di imprudenza che ha fatto perdere alla stessa del tempo prezioso – aggiungevano i consulenti -, in quanto la nefrostomia è stata praticata dopo tre giorni, nel pomeriggio del 9/3, allorché lo stato settico era oramai evoluto verso lo shock settico conclamato” tanto che “causa l’imminente pericolo di vita, si rese necessario procedere con le manovre di rianimazione trasferendo poi immediatamente la paziente” in un altro ospedale nel tentativo, fallito, di salvarle la vita.
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